Purtroppo si nota benissimo, girando per le campagne marchigiane: quelle distese di giallo date dalla fioritura del colza che contribuivano a rendere unico il paesaggio marchigiano tra aprile e maggio, sono diventate quasi impercettibili. “Addirittura dimezzate da un anno all’altro secondo alcuni agronomi con cui mi sono confrontato – lamenta il presidente di Confagricoltura Macerata, Andrea Pettinari – e questo malgrado la piena disponibilità mostrata dai tecnici Amap di consentire l’utilizzo di prodotti per contrastare le malattie fungine che le condizioni meteo avevano favorito”.
Un vero peccato, dovuto certamente al fatto che questa coltura da rinnovo è più problematica di altre dal momento che richiede, negli otto mesi di presenza in campo, la preparazione di un ottimo letto di semina, un paio di concimazioni, altrettanti interventi fitosanitari, oltre ad un trattamento contro le infestanti. Operazioni costose che rendono il colza meno remunerativo rispetto, ad esempio, al favino o al cece.
Ma il problema non è solo colturale, è piuttosto – e forse anche più – culturale. E Marche Agricole lo ripete da tempo. Proviamo a spiegare nuovamente il perché!
Le Marche, con circa 2.400 ettari coltivati, detenevano il 10% della produzione di colza nazionale. Un valore importante sotto il profilo economico, ma certamente ancor più dal punto di vista paesaggistico-ambientale, perché l’immagine della regione colorata con la fioritura del colza era davvero unica e suggestiva. Patrimonio destinato a scomparire, completamente ignorato dalla politica. Una politica, quella della Regione, che anche in questo caso, come in tanti altri temi agricoli, ha mostrato tutta la sua apatia. Altro che terra del benessere!!!
Solo una visione miope dell’agricoltura, tanto più disancorata da ambiente e paesaggio, non permette infatti di vedere che proprio le nostre campagne, con le tonalità dal giallo all’arancione che assicurano colza, grano e girasole, hanno una valore fortemente attrattivo per chi si immerge nelle bellezze di questa regione. E citiamo non a caso anche il girasole, perché tra un paio di mesi, ci troveremo a fare lo stesso discorso pure per questa coltura che ha già perso quasi 10 mila ettari tra il 2023 ed il 2024 e che le prime stime indicano in ulteriore discesa di un altro 15%.
Tra le centinaia di milioni di euro che la Regione ha a disposizione per l’agricoltura marchigiana con il Complemento di Sviluppo Rurale, ben si potevano trovare le risorse per premiare quelle imprese agricole che si facevano carico di colorare il paesaggio marchigiano, contribuendo così a rendere ancora più nitida quella immagine che campeggia nelle foto sotto le quali, per altro, gli amministratori regionali ben volentieri si fanno immortalare in occasione di fiere e manifestazioni varie dove decantano i valori dell’agricoltura.
Un fallimento, beninteso, che non ha colore politico, perché questa amministrazione regionale non è stata poi così diversa dalle precedenti nell’ignorare che paesaggio e turismo sono due facce della stessa medaglia e che meritano di essere sostenuti con azioni concrete verso chi – le imprese agricole appunto – si fa carico di rendere così suggestive, uniche e non replicabili le nostre campagne (tralasciando i valori sociali contro abbandono e spopolamento e di tutela idrogeologica che pure meriterebbero attenzione).
Riconoscere un contributo sul colza avrebbe inciso per lo zero virgola sulle risorse che la Regione gestisce per l’agricoltura. Non è stato fatto, non ci hanno minimamente pensato, preferendo dirottare la stragrande maggioranza delle risorse sul biologico, certamente tema altrettanto meritorio, ma finendo molto spesso nel premiare aziende che coltivano il contributo anziché il prodotto.
E dunque, salutando senza alcun rimpianto del mondo agricolo questa legislatura ormai prossima alla scadenza, non resta che augurarci che questo tema, così come quello più in generale del settore primario, trovi finalmente l’attenzione che merita anche in funzione paesaggistica e turistica nel prossimo quinquennio.