Il 1° giugno ricorre la Giornata mondiale del latte, istituita dalle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (la FAO) per riconoscere l’importanza del latte come alimento globale e offrire un’opportunità per richiamare l’attenzione sulle attività connesse al settore lattiero-caseario.
L’Italia celebra…
Una Giornata che in Italia si celebra con numeri di tutto rispetto: un valore della produzione di oltre 7 miliardi di euro nella fase agricola tra latte vaccino, ovicaprino e bufalino e 18,5 miliardi di fatturato dell’industria lattiero casearia, pari al 10% del fatturato dell’industria agroalimentare nazionale. Insomma, come ricorda Confagricoltura, un settore che si conferma uno dei pilastri dell’agroalimentare italiano.
“Negli anni – ricorda l’associazione che racchiude le maggiori stalle nazionali – gli allevamenti italiani hanno investito in innovazione e benessere animale raggiungendo standard qualitativi elevati che premiano il nostro prodotto, rendendolo un’eccellenza apprezzata in Italia e all’estero.
Con oltre 13 milioni di tonnellate nel 2024 – sottolinea ancora Confagricoltura – la produzione di latte vaccino in Italia deriva da circa 24 mila allevamenti con una consistenza di 2,6 milioni di capi. Le consegne di latte sono concentrate in quattro regioni: Lombardia 47%, Emilia-Romagna 16%, Veneto e Piemonte con 9% ciascuna.
Per quanto riguarda la produzione di latte ovicaprino, con quasi 500.000 tonnellate annue prodotte, il sistema “conta” su 110 mila allevamenti e quasi 7 milioni di capi. Otre il 93% dei capi ovini allevati è presente nelle regioni del Centro-Sud, con una netta prevalenza in Sardegna, in cui si concentra ben il 49% dei capi. A seguire la Sicilia (12% del totale), il Lazio (7%) e la Toscana (5%).
L’Italia è il 5° produttore di latte vaccino in Europa e rappresenta il 9% del latte della UE. Il bilancio di auto -approvvigionamento del latte in Italia è in miglioramento superando il 90%; prima del 2020 era inferiore all’80%”.
…Le Marche commemorano
E nelle Marche? Nelle Marche c’è poco da celebrare purtroppo! I numeri, infatti, sono tutti negativi. Eppure abbiamo due aziende leader nella lavorazione e trasformazione (Cooperlat e Sabelli) che hanno necessità di un milione di quintali a testa di latte vaccino, una quantità esattamente dieci volte superiore alla produzione regionale, che si attesta ad appena 240 mila quintali. Venti anni fa erano oltre 450 mila. Le stalle si riducono, praticamente dimezzate rispetto all’inizio degli anni 2000, il numero di capi anche.
Non va meglio per il latte ovicaprino destinato ai formaggi: 35 mila quintali, anche qui in calo, con l’ulteriore problema di un ricambio generazionale di pastori difficile da gestire.
Le ingenti risorse spese dalla Regione tramite lo Sviluppo rurale non sono minimamente riuscite a tenere in equilibrio un settore che, al pari della zootecnia nel suo complesso, soffre terribilmente.
Le cause? Diciamo chiaramente che le Marche brillano nel panorama nazionale per l’assenza di un piano zootecnico regionale. Anche in questa legislatura, così come in tutte quelle precedenti, la zootecnia è stata nella migliore delle ipotesi semplicemente assistita, girando i contributi, ma senza mai dotarsi di strumenti tecnici e organizzativi capaci di darle una prospettiva, senza mai avere una visione! Ed è stato un vero peccato, perché oggi le condizioni sarebbero state tutte favorevoli se ci si fosse mossi per tempo, con un prezzo del latte che è cresciuto e prezzi di mangimi scesi.
Non c’è che augurarsi che, con la prossima legislatura, chi sarà chiamato a guidare l’assessorato all’agricoltura – tra i tanti ritardi che si troverà in eredità – metta mano al settore zootecnico, magari facendosi supportare dalle università marchigiane che esprimono competenze in merito (Politecnica delle Marche e Camerino), da istituti di ricerca, dalle associazioni di categoria che hanno il polso della difficoltà in cui si trovano le aziende zootecniche tra costi finanziari ed energetici, tanto per citare i più eloquenti, ed un mancato ammodernamento rispetto agli standard che oggi i più evoluti allevamenti richiederebbero.