La questione agrivoltaico è oggetto, da sempre, di dibattito. Non solo fra detrattori di tale soluzione e sostenitori di un suo sviluppo in chiave ambientale ed economica, ma anche fra istituzioni e mondo produttivo. Accade, infatti, che quello stesso Ministero, che da un lato vorrebbe incentivare una maggiore diffusione di impianti per la produzione di energia verde sopra i campi italiani non si faccia scrupoli, dall’altro, nell’inserire limitazioni di vario tipo agli agricoltori che se ne avvantaggiano.
Da qui il recente “scontro” fra Masaf e Confagricoltura che si trovano su posizioni opposte riguardo l’ammissibilità ai pagamenti diretti della PAC per i terreni che ospitano questa tipologia di strutture. Al centro della questione c’è una bozza di circolare AGEA che escluderebbe dai contributi le superfici con impianti di tipo 2, la tipologia più diffusa nel nostro Paese.
Con una nota ufficiale del 21 luglio 2025, il Ministero, infatti, ha ribadito i principi guida per l’ammissibilità ai fondi PAC. Una superficie è considerata agricola solo se:
- viene mantenuta in condizioni idonee al pascolo o alla coltivazione;
- l’agricoltore può svolgere almeno una pratica colturale ordinaria all’anno;
- l’attività non agricola non ostacola quella agricola per oltre 60 giorni l’anno;
- non vi sono strutture permanenti che impediscono le operazioni colturali.
Secondo il Ministero, l’agrivoltaico di tipo 2 (dove l’altezza dei pannelli non consente le attività agricole sottostanti) non rispetterebbe queste condizioni. L’impianto, infatti, viene visto come una struttura permanente che interferisce con il ciclo colturale e, di conseguenza, esclude il terreno dai pagamenti diretti, pur essendo una tipologia di struttura perfettamente prevista dalla normativa.
Confagricoltura, nella sua nota tecnica del 25 giugno 2025, invece, ha espresso forte preoccupazione per questa rigidità, sostenendo che l’esclusione dell’agrivoltaico di tipo 2 penalizzerebbe la sua diffusione con gravi ripercussioni per il settore (e per gli obiettivi di indipendenza energetica che si vorrebbero perseguire) Questa tipologia, infatti, è la più economica e semplice da realizzare. L’associazione propone, quindi, una soluzione più pragmatica: dato che le linee guida del Ministero prevedono che almeno il 70% della superficie interessata debba rimanere coltivata, sarebbe più sensato rendere ammissibile questo 70% effettivamente utilizzato per l’agricoltura, piuttosto che escludere l’intero terreno. In linea di principio, qualsiasi superficie agricola interessata da sistemi agrivoltaici dovrebbe essere ritenuta ammissibile ai fini PAC, salvo i necessari calcoli sulla parte effettivamente coltivata.
Inoltre, Confagricoltura chiede di riconoscere diverse forme di contratto, come la cessione del diritto di superficie o di usufrutto, a patto che l’agricoltore mantenga la conduzione del fondo e la libertà nelle scelte colturali.
Il dibattito solleva un tema cruciale: come si può coniugare la produzione agricola ed energetica senza che l’una prevarichi sull’altra? Da un lato, c’è la necessità di tutelare la vocazione agricola dei terreni finanziati dalla PAC. Dall’altro, l’esigenza di promuovere un modello agrivoltaico integrato che offra agli agricoltori un’ulteriore fonte di reddito, andando anche a rispondere alla crescente esigenza di raggiungere un’indipendenza energetica da fonti fossili..
La discussione resta al momento aperta e il nodo da sciogliere riguarda l’equilibrio tra la necessità di tutelare il suolo agricolo e l’opportunità di innovare il settore con le energie rinnovabili. Questione complessa ma sempre più attuale.