Quale modello produttivo per la zootecnia italiana?

Economia

di Francesco Torriani*

È stato approvato in Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida e del Ministro della Salute Orazio Schillaci, il Disegno di legge recante disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici.
Bene prendere posizione contraria a un modello produttivo che è molto lontano dalla nostra cultura e da un modello produttivo legato alla filiera agricola, ma attenzione a non usare strumentalmente il tema delle produzione delle carni sintetiche per non affrontare il vero argomento che invece, come sistema agroalimentare italiano, ci coinvolge direttamente e verso il quale abbiamo le nostre responsabilità ovvero quali “politiche di sviluppo prevediamo per la nostra zootecnia e per i nostri allevamenti, in un contesto dove diventano sempre più evidenti gli effetti negativi della crisi climatica e ambientale e dove le sensibilità culturali ed etiche dei consumatori ci chiedono sempre più sostenibilità ambientale e benessere animale?”
È evidente allora che la questione delle carni sintetiche deve diventare l’occasione non solo per dire no ad un modello produttivo totalmente avulso dall’agricoltura, ma anche per promuovere e qualificare ulteriormente il nostro modello produttivo zootecnico e renderlo sempre più sostenibile e in linea con le esigenze dei consumatori.
È necessario, allora, ribadire alcuni punti fondamentali che a mio avviso andrebbero rimessi a fuoco nel qualificare le nostre filiere zootecniche:
• gli allevamenti devono essere effettivamente collegati con la terra per quanto riguarda sia l’approvvigionamento degli alimenti, sia la gestione delle deiezioni. Gli allevamenti andrebbero quindi dimensionati tenendo conto di questi due “limiti”;
• andrebbe sviluppato un modello di zootecnia coerente con una visione di economia circolare sia per l’approvvigionamento del cibo che nello smaltimento delle deiezioni;
• andrebbe sostenuta una filiera mangimistica italiana davvero collegata a comprensori e/o distretti agricoli ogm free, con delle rotazioni colturali agronomicamente sostenibili (no alla monosuccessione di mais…);
• massima attenzione al benessere degli animali (spazi adeguati e pascolamento dove possibile),
• la diffusione di fenomeni come l’antibiotico-resistenza ha assunto negli ultimi anni dimensioni drammatiche tali da rendere indispensabile e non procrastinabile una programmazione degli interventi preventivi prevedendo progressivamente una riduzione del loro uso;
• la ricerca genetica dovrebbe riconsiderare le razze a lenta crescita adatte ad essere allevate negli allevamenti non intensivi;
• promuovere la zootecnia biologica.
Un altro aspetto generale da considerare è che se sosteniamo che il nostro modello alimentare sia la dieta Mediterranea e se consideriamo le linee guida dell’OMS non possiamo continuare a sostenere un modello produttivo di carne industriale funzionale a un consumo giornaliero di carne. Sappiamo benissimo che la dieta mediterranea prevede un basso consumo di proteine animali (carni rosse, soprattutto, ma anche carni bianche e latticini). È un tema delicato, ma che non può essere continuamente omesso, anche nel dibattito sulle carni sintetiche. Un dibattito che deve comprendere la questione della sensibilizzazione e dell’educazione dei cittadini, per la promozione di stili di vita sostenibili, che migliorino la salute delle persone e dell’ambiente. Un tema che come Paese e come Unione europea siamo chiamati ad affrontare.
Grande importanza, quindi, a campagne informative e promozionali che riducano il consumo di carne, orientandolo verso produzioni zootecniche di qualità, provenienti da allevamenti biologici o da altri sistemi che prevedono alti standard certificati legati al benessere degli animali come il sistema Classyfarm.
Il tema delle carni sintetiche rimanda, quindi, alla necessità di politiche agricole coerenti e sistemiche a sostegno di un modello produttivo zootecnico sostenibile a partire da quello biologico. Bene quindi i regimi a sostegno dell’ambiente, cambiamenti climatici e benessere animale, in particolare l’eco schema 1 della nuova PAC che introduce “Pagamenti per la riduzione dell’antimicrobico resistenza e benessere animale” (Livello 1 e Livello 2) e le misure previste nei Complementi regionali per lo sviluppo rurale, in particolare la SRA30 – Benessere animale
La zootecnia sarà sempre più sotto attacco sia per le questioni legate all’inquinamento delle risorse naturali, all’emissione di gas serra, al consumo di acqua, sia per la crescente attenzione al benessere animale. Questioni anche “etiche” legate a diverse sensibilità culturali che stanno portando a un deciso aumento di consumatori vegetariani e vegani.
Come sistema produttivo agricolo, come filiera agricola italiana saremo chiamati a prendere posizione. Vogliamo difendere la “zootecnia a prescindere” o vogliamo sostenere un modello di zootecnia realmente sostenibile? A me pare che la scelta come agricoltori, allevatori e cooperatori agricoli sia obbligata: sostenere con coerenza e determinazione le politiche che pongono al centro dell’attenzione le tematiche della sostenibilità ambientale e del benessere animale. Quindi si al SQNBA – Sistema di qualità nazionale benessere animale per i sistemi di allevamento convenzionali e ovviamente si alle politiche di sostegno della zootecnia biologica.

(*) Presidente Confcooperative Fedagripesca Marche

Tags: in evidenza, Torriani, zootecnia

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