Tartufo bianco, le Marche alla prova del rilancio

Dalla raccolta 2025 conferme sulle criticità del “Re bianco” e sulle pratiche per garantirne il futuro
Attualità
di Giorgia Clementi

Le Marche e il tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico🙂 un binomio pregiato, da sempre legato a cultura e territorio, ma dal futuro sempre più fragile. L’andamento della raccolta nel 2025 conferma infatti un trend altalenante: un buon inizio a ottobre, una frenata fino a metà novembre, seguita da un periodo di raccolta positivo, con quantità complessive però dimezzate rispetto al 2019. A fare il punto è Lorenzo Topi, agronomo e parte dell’Azienda Agricola Il Sottobosco di Acqualagna, una delle realtà regionali protagoniste nella coltivazione del bianco e del nero.

Dal confronto con Topi emergono conferme su alcune delle problematiche già rilevate lo scorso anno nel corso di una nostra indagine: clima, rigenerazione degli areali e calendario di raccolta restano tra le principali sfide per il tartufo bianco marchigiano, mentre l’unica strada per il futuro passa per un cambio di prospettiva verso le pratiche di tartuficoltura.

Il ruolo della tartuficoltura

Lorenzo Topi, Az. Agr. Il Sottobosco

«Dato il problema delle basse raccolte – spiega Topi – nei nostri terreni siamo intervenuti nel corso dell’inverno passato con le cure culturali fondamentali. Così come abbiamo lavorato nel corso degli ultimi 6, 7 anni, recuperando la zona e realizzando una tartufaia controllata».

«Ed abbiamo constatato – continua – che grazie alle potature, all’ eliminazione delle piante vecchie ed alla piantumazione delle nuove, effettivamente la fertilità aumenta».

Clima e rigenerazione degli areali

Il clima resta una variabile cruciale: «È mancato un inverno rigido con poca neve sia ad alta che a bassa quota e le falde acquifere sono state esigue – aggiunge -. L’estate è stata positiva con piogge nella media, ma non è bastata ed annate difficili come quelle degli ultimi anni portano al deterioramento della micorriza».

Il clima che cambia rende così evidente la necessità di un intervento umano nella gestione delle tartufaie. La tartuficoltura ed una gestione attiva ed agricola delle aree, diventa fondamentale non solo per sostenere la produzione, ma anche per rigenerare gli areali, come ricordato da Topi, all’interno di boschi sempre più abbandonati e fossi trascurati.

Le Marche offrono terreni vocati da Pesaro ad Ascoli Piceno, ma è necessario custodirli. Una tartufaia di bianco costa circa 15-20 mila euro all’ettaro, leggermente meno rispetto a una tartufaia di nero pregiato, anche perché le piante micorizzate sono spesso difficili da reperire. Si utilizzano quindi piante simbionti, che non portano la micorrizazione già nel panetto, ma favoriscono comunque lo sviluppo della simbiosi.

La coltivazione permette di rigenerare le aree interessate grazie agli interventi che richiede: lasciare le piante simbionti, eliminare quelle non utili, potare e ripulire il bosco. «Il lavoro è relativamente semplice e porta risultati concreti per produttività, fertilità e tutela di interi territori».

Coltivazione e ritorno al tradizionale calendario di raccolta

Il calendario storico dal 15 ottobre al 15 dicembre resta adeguato: «Non ha senso posticipare fino a gennaio, come previsto oggi dalla Regione, sarebbe sufficiente chiudere al 31 dicembre. I tre mesi storici seguivano criteri naturali che tutelavano la produzione e la rigenerazione degli areali e dovrebbe essere ripristinato».

Infine, il tema della leadership regionale nella produzione. Le Marche rimangono centrali sul fronte economico: su 3.600 ettari di tartufaie coltivate e 13 mila cercatori tesserati, la produzione di Tuber Magnatum Pico si attesta sulle 15-20 tonnellate, pari al 40% della raccolta italiana, con un prezzo medio al novembre 2025 di 3.624 €/kg

Ma quanto mostrato dall’andamento delle ultime raccolte, ribadisce la necessità di intervenire «Dobbiamo abbandonare l’idea storica del cercatore di tartufi, o almeno abbandonare la convinzione che quella modalità possa bastare. Se non iniziamo a fare tartuficoltura, rischiamo di perdere la nostra presenza entro 15 anni – conclude Topi. Le Marche danno la possibilità di raccogliere tutte e nove le varietà di tartufi – ma non possiamo più pensare che possano prosperare senza intervento umano». Rigenerare le tartufaie significa non solo tutelare un prodotto di eccellenza, ma anche salvaguardare un territorio e un’economia che da sempre fa delle Marche la locomotiva del tartufo italiano.

Dati e numeri del tartufo marchigiano

(stagione 2024, in attesa dei dati di raccolta 2025)

  • Produzione Italia: 235 t
    • Bianco: 50 t (21%)
    • Nero pregiato: 82 t (35%)
    • Nero estivo: 59 t (25%)
    • Brumale e moscato: 23 t (10%)
    • Scorzone autunnale e mesenterico: 14 t (6%)
    • Valore commerciale del bianco: oltre i 6 miliardi di euro.
  • Produzione Marche: 50 t (21-25% della produzione italiana)
    • Tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico): 15-20 t (40% della produzione italiana)
    • Tartufo nero (Tuber melanosporum): 10-12 t
    • Tuber aestivum/uncinatum: 23-25 t
    • Tuber borchii: 2-3 t
  • Superficie tartufaie coltivate: 3.600 ha
  • Cercatori tesserati: 12.000
  • Produzione per ettaro:
    • Nero pregiato: 60-80 kg (200-400 piante)
    • Nero estivo: 200 kg (400-500 piante)
  • Prezzi medi 2025:
    • Bianco pregiato: 3.624 €/kg
    • Nero pregiato: 1.299 €/kg

 

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