Allevamenti intensivi di maiali e polli, ecco un’altra batosta

Saranno applicate le normative sulle emissioni industriali
Economia
di Alberto Maria Alessandrini

Ennesimo duro colpo al settore primario proveniente dall’Unione Europea, questa volta ai danni degli allevatori di polli e maiali. Nel corso dell’ultima sessione plenaria il Parlamento Europeo, infatti, ha dato il via libera alla revisione della direttiva sulle emissioni industriali. Questione certamente spinosa a causa della decisione di fare ricadere nel novero delle strutture “colpite” anche gli allevamenti (bovini esclusi).

Nello specifico la normativa andrà ad applicare le misure sulle emissioni industriali vigenti per gli stabilimenti produttivi (fabbriche, stabilimenti di produzione, etc..) anche agli allevamenti di maggiori dimensioni. In particolare, le nuove regole si applicheranno alle strutture con più di 350 u.b.a. nel caso dei suini (circa 1200 maiali) o con un numero superiore alle 2100 galline (se da uova) o 40mila polli nel caso dei broiler. Per le aziende che allevano sia pollame che suini il limite sarà fissato in 380 unità complessive.

Poche le deroghe concesse, oltre a quella di maggiore entità riguardante gli allevamenti bovini, fra cui le aziende che allevano in modo estensivo o biologico e quelle che lo fanno all’esterno per un periodo di “tempo significativo” nell’arco di un anno.

Le reazioni

Immediata la reazione del comparto produttivo con Confagricoltura che ha parlato di “nuovi e pesanti oneri che si prospettano per gli allevatori di suini ed avicoli e che, soprattutto, sono assolutamente ingiustificati. Gli allevamenti non sono in alcun modo equiparabili alle industrie più inquinanti. La zootecnia italiana è in prima fila nel continuo miglioramento della sostenibilità ambientale. I dati dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) certificano i risultati già ottenuti in termini di riduzione delle emissioni di ammoniaca e gas ad effetto serra”.

Le Marche

Una preoccupante deriva green, quindi, che andrà a colpire anche le Marche dove il settore suinicolo in particolare si trova costretto ad affrontare già storiche difficoltà (mancanza di infrastrutture, carenze di mattatoi, difficoltà burocratiche, prezzi insoddisfacenti). Nella nostra regione, infatti, insistono ancora circa 113.000 capi distribuiti in oltre 800 allevamenti. Strutture che, se da un lato sono spesso di modeste dimensioni, non posso far dimenticare il fatto che tali realtà, per poter essere economicamente sostenibili, non possono prescindere dall’allevamento intensivo. Metodologia indispensabile per poter garantire non solo un minimo di reddito agli allevatori ma addirittura quasi obbligata per soddisfare gli standard di bio-sicurezza imposti dai pericoli dovuti alla peste suina africana.

L’epidemia che da oltre un anno si è abbattuta in diverse aree del paese, infatti, ha imposto la realizzazione di strutture sempre più autonome ed isolate dall’ambiente circostante, fatte di doppi recinti, muri di contenimento e rigide prassi e protocolli atti ad evitare qualsiasi contatto fra suini ed ambiente esterno. Conseguenza di tutto ciò? L’aver reso sempre più complessa anche la realizzazione di quegli allevamenti all’aperto ed allo stato brado che potrebbero garantire una, pur minima, diversificazione delle produzioni e per i quali lo stesso entroterra marchigiano sarebbe stato naturalmente vocato.

Tags: allevamenti intensivi, confagricoltura, in evidenza

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