Ambiti Territoriali di Caccia, ricorso al Tar contro il pasticcio della Regione

Confagricoltura Marche: "Rappresentanze agricole scelte non in base alla superficie territoriali, ma al numero dei soci"
Attualità

La caccia è, da sempre, una materia ostica da gestire per qualsiasi Giunta regionale. Un settore dove molti sono gli attori che vogliono essere protagonisti ed ancora di più gli interessi in gioco. Lascia ugualmente perplessi, però, la serie di “imprevisti” legislativi (tutta l’altro che casuali) generati dall’attuale gestione regionale.

Dopo le veementi proteste conseguenti all’approvazione del nuovo Regolamento per gli indennizzi dalla fauna selvatica è la volta, ora, della riforma degli statuti degli ATC (Ambiti Territoriali di Caccia). Enti deputati dalla legge a gestire la caccia su specifici territori, diretti dai rappresentanti di associazioni venatorie, agricole ed ambientaliste. Realtà sulle quali si era reso necessario un intervento normativo per ristabilire un minino di ordine dopo anni di gestioni spesso confusionarie e, a volte, non sempre cristalline (ne è un esempio il commissariamento dell’Atc Ancona2). Una riforma sperata, si, ma dall’epilogo tutt’altro che immaginato.

A far dibattere la decisione, squisitamente politica da parte dell’assessorato, di assegnare la rappresentanza delle associazioni agricole in seno agli ATC non in base alla superfice territoriale (ettari) gestita dai soci ma in virtù del numero di imprese aderenti in capo alle singole associazioni. Una questione tutt’altro che irrilevante e ben nota a chiunque abbia un minimo di conoscenza del mondo organizzativo agricolo. Vi sono infatti organizzazioni con moltissimi soci ( e tante tessere) che, gestiscono però, pochi ettari (micro aziende agricole) e ve ne sono altre che rappresentano meno aziende in termini numerici, ma dalle dimensioni ben più significative ed importanti.

È facilmente intuibile da chiunque come una realtà che coltiva 4/500 ettari di terra non può avere lo stesso peso specifico di dieci piccoli agricoltori, magari anche in pensione, che gestiscono due/tre ettari di terra ciascuno. Principio generale, forse impopolare ed ostico per chi vive di politica ed è abituato alla semplice equazione una testa=un voto, che assume però una valenza rilevantissima quando si parla di caccia e di liquidazione dei danni causati dalla fauna selvatica. Gli ATC, infatti, si occupano anche di questo e proprio sulla base di tale principio è di questi giorni la notizia del ricorso depositato da Confagricoltura Marche per chiedere al giudice amministrativo l’annullamento della riforma recentemente varata dalla Giunta regionale.

Come è noto, infatti, l’associazione è storicamente l’organizzazione maggiormente rappresentativa delle aziende agricole non solo che occupano forza lavoro ma anche in termini di superficie coltivata. Ed è proprio sul concetto di territorio che si articola il ricorso al Tar presentato dall’avv. Settimio Honorati di Ancona. La stessa L.R. 7/1995, infatti, stabilisce che “la Regione tutela la fauna selvatica secondo metodi di razionale programmazione dell’utilizzazione del territorio”. Dunque, la fauna viene tutelata anche attraverso una pianificazione del territorio, quella stessa superficie che è in larga parte coltivata dagli stessi agricoltori.

Dunque, il territorio (a cui la legge fa riferimento per ben 58 volte in vari passaggi ma che è stato poi ignorato nell’adozione dei criteri di rappresentatività negli ATC) non è soltanto un elemento ritenuto fondamentale dal legislatore, ma è anche il criterio in base al quale dovrebbero essere eletti i componenti dei comitati degli Ambiti Territoriali. Quella stessa superficie in cui si va a caccia e sulla quale avvengono i danni da parte della fauna selvatica, invece, è stata totalmente ignorata dal legislatore locale.

Il numero di delegati che ogni associazione professionale può eleggere dipende unicamente dal numero delle imprese agricole iscritte alla predetta associazione. In definitiva ciò che conta, ciò che consente di avere il maggior numero di delegati (e dunque ciò che consente di influire sulla nomina dei componenti del comitato) è il semplice numero degli iscritti. Il terreno non è un elemento tenuto in alcuna considerazione dallo statuto nonostante si su quel terreno che si pratica l’attività venatoria e si consumano le scorribande di cinghiali, piccioni e lupi.

“Se un’associazione ha 100 iscritti che coltivano un ettaro ciascuno, essa sarà rappresentativa dei problemi di un’area di 100 ettari. Se un’altra associazione ha 10 iscritti ognuno dei quali coltiva 100 ettari di terreno, essa sarà rappresentativa dei problemi di un’area di 1.000 ettari. In base a quanto stabilito dai nuovi statuti, però, la prima organizzazione, pur potendo rappresentare i problemi di un’area dieci volte più piccola, conterà dieci volte di più della seconda” ricorda a titolo esemplificativo l’avv. Honorati all’interno del ricorso presentato per Confagricoltura.

Ulteriore aspetto rilevante, secondo quanto riportato dal legale, anche la mancanza di motivazione alla base dell’atto impugnato. Nello specifico, ricorda il direttore di Confagricoltura Alessandro Alessandrini: “Avevamo proposto in sede di concertazione un meccanismo che garantisse equa rappresentanza per tutte le associazioni. Il numero di delegati indicati da ogni organizzazione agricola, secondo la proposta, si sarebbe potuto indicare per il 50% in base al numero delle imprese agricole associate e per il 50% in base al numero degli ettari coltivati ma non se ne è voluto tenere conto”.

Un’osservazione questa, condivisibile o meno, sulla quale la Regione non ha, però, illustrato i motivi del dissenso. Passaggio, invece, dovuto onde evitare di emanare atti carenti nelle motivazioni (artt. 3 e 10 della L. 241/1990).

Un grosso pasticcio, dunque, che va ad aggiungersi ad una nutrita serie di contenziosi fra mondo agricolo ed istituzioni regionali circa la gestione delle attività venatorie. Materia, tra l’altro, in cui le Marche avrebbero operato in questo caso anche in apparente contrasto con la normativa nazionale. La legge 157/1992 all’art. 14, infatti, afferma che “negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere assicurata la presenza paritaria, in misura pari complessivamente al 60 per cento dei componenti, dei rappresentanti di strutture locali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio”.

Tutt’altra decisione quella assunta nelle Marche dove si è optato per una rappresentanza delle associazioni agricole semplicemente “riconosciute a livello nazionale” anziché quelle “maggiormente rappresentative a livello nazionale”. Questioni all’apparenza di pura forma ma che in questo, come in tanti altri casi, diventano anche di sostanza.

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