Barbabietola: ritorno al passato o coltura di nicchia?

Tre validi motivi per coltivarla di fronte a incertezza e crisi del mercato agricolo
Attualità
di Giorgia Clementi

La filiera della barbabietola da zucchero in Italia è oggi in mano alla Coprob, una Coopertiva di produttori bieticoli che produce lo zucchero nei due zuccherifici rimasti nella penisola, a Minerbio, in provincia di Bologna e a Pontelongo, in provincia di Padova. La Coprob nasce nel 1962 e la sua storia si lega in maniera importante a quella della nostra regione. I dati relativi alle prime barbabietole nelle Marche ci riportano infatti al 1964 con 15.000 ettari coltivati. Da quel momento, fino agli inizi del 2000, è stata la seconda regione produttrice di barbabietole, con 40 mila ettari. La florida storia si interrompe nel 2007, con la chiusura dello zuccherificio di Jesi che ha costretto i numerosi bieticoltori della regione ad abbandonare tale coltura.

Tre fasi storiche

Sulla linea del tempo, tre sono le fasi storiche vissute: una prima fase tra gli inizi degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta. Una fase di costruzione e affinazione della tecnica che ha reso i bieticoltori marchigiani molto abili nella coltivazione. Complice anche il clima mite della regione infatti, la resa dei campi coltivati nelle Marche è sempre stata particolarmente buona. Una seconda fase di massima espansione, dagli anni Ottanta al 2007 ed una terza fase, dal 2007 in poi, in cui i campi di bietole sono quasi del tutto scomparsi e le Marche sono diventate una regione cuscinetto rispetto alla fornitura di zucchero agli zuccherifici rimasti.

Una nuova, recente fase, inizia nel 2019 quando, da parte della Coprob, torna a crescere l’interesse di produrre sul territorio. Abbiamo commentato quanto sta accadendo negli ultimi cinque anni con Rosina Fulgenzi del Consorzio bieticoltori di Ancona e Bettino Gabrielloni (nella foto), tecnico e direttore di due aziende che, nell’osimano, producono bietole.

Il bacino marchigiano è appetibile da parte di Coprob perché le Marche non sono né troppo a nord né a sud, hanno un clima mite e la produzione è buona – afferma quest’ultimo. Dopo il covid e con le guerre in atto, il prezzo dello zucchero è raddoppiato: da 500 auro a tonnellata a 1000 euro e di conseguenza è cresciuto anche il prezzo della bietola che nel 2020 veniva contrattualizzata a 2,20 euro al quintale mentre oggi varia dalle 4,30 alle 4,80 euro. A queste condizioni, è diventato più performante per l’agricoltore piantare bietole”.

Condizioni favorevoli dunque, confermate anche dai dati in mano alla Fulgenzi che spiega come, dei 1.300 ettari di bietole richiesti dalla Coprob nel 2019, 220 erano nelle Marche, specie nel pesarese, territorio più vicino allo stabilimento in Emilia. Nel 2023 gli ettari nella regione sono stati 1.800. “A convincere la Coprob ad aumentare gli ettari marchigiani, il bisogno di più bietole in generale – gli ettari coltivati nella penisola sono stati 31.000 nel 2023 – ma anche il fatto che, quei pochi ettari coltivati nelle Marche producono più degli altri. Perché?

Tre motivazioni

La prima ragione è incastonata nel passato. “C’è tutto un nucleo storico di coltivazione della bietola nella regione” – commenta Fulgenzi. In primis, numerose aziende agricole hanno l’attrezzatura necessaria per coltivarla. Poi la tecnica, affinata negli anni e tramandata, insieme a delle zone dove è possibile irrigare la bietola a costi più contenuti grazie alla presenza di bacini d’acqua”. A questo si aggiungono fondamentalmente tre motivi per i quali la bietola sta tornando nei campi, afferma Gabrielloni: “il primo sicuramente economico, con condizioni, almeno a tavolino, interessanti per i bieticoltori dati i prezzi di zucchero e bietole raddoppiati. Poi il fatto di ampliare la rotazione. Non solo grano, orzo o sorgo ma l’importanza di utilizzare la bietola, che sicuramente è una coltura industriale in grado anche di migliorare la struttura del terreno. Infine sulle colline dove c’è una buona irrigazione, specie nella zona prossima alla diga c’è una buona produttività, di circa 9 – 10 tonnellate di saccarosio a ettaro”.

A quello economico e agronomico si aggiunge un motivo legato al ricordo, nella memoria collettiva, di una coltura florida, protagonista di un passato dove l’agricoltura marchigiana aveva un ruolo importante, “poi, il senso di appartenenza ad una categoria agricola che fa fede ad una Cooperativa e non ad una società privata”.

Ritorno al passato o nuova coltura di nicchia?

Se dovessimo disegnare l’andamento della bietola negli anni dunque, avremmo una potenziale curva di Gauss rovesciata. Un passato florido, poi un tracollo ed ora una risalita della funzione, naturalmente non ai livelli del punto di partenza. A fronte di prezzi interessanti e una volontà manifestata dai bieticoltori di riprendere in mano una coltura protagonista del passato infatti, si aggiungono condizioni storiche ed economiche completamente mutate. I costi di produzione dello zucchero aumentati in maniera esponenziale negli ultimi 4 anni, poi i cambiamenti climatici in corso con un clima, negli ultimi due anni, favorevole per la bietola che si pianta al sud ma che al nord fa sempre più propendere per la coltivazione di bietole autunnali.

Condizioni che richiedono dunque un nuovo adattamento ai bieticoltori e aumentano il rischio della coltivazione, data una resa che vede aumentare il proprio potenziale di incertezza” – dice Gabrielloni. Infine, la crisi generale del settore agricolo. “Il problema fondamentale è che la coltivazione di nicchia salva pochi – conclude Fulgenzi. La soluzione per l’agricoltura è solo mettere mano alle grandi colture e oggi la bietola non lo è”.

Tags: barbabietola da zucchero, Bieticoltori, in evidenza

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