Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) ha recentemente pubblicato il suo report annuale sul monitoraggio dei costi medi di produzione del frumento in Italia. Un documento importante ed utile per fotografare la reale situazione del settore che, in base ai dati, ha vissuto una lieve ripresa produttiva rispetto al 2024. Purtroppo, però, resta ancora alle prese con margini economici negativi, soprattutto nel Centro Italia, dove le Marche rappresentano uno degli areali simbolo del grano duro di qualità.
Secondo Ismea, infatti, la produzione nazionale di frumento duro ha raggiunto 3,8 milioni di tonnellate, in aumento dell’8,5% rispetto al 2024. Nelle Marche, le rese ad ettaro sono salite a 3,6 tonnellate per ettaro (dato medio ricavato fra le migliori produzioni collinari e le ben più scarse rese delle aree interne), beneficiando di una stagione climatica più regolare, senza gli eccessi di pioggia o siccità che avevano colpito le campagne precedenti. Il profilo qualitativo è risultato buono, con tenori proteici fino al 14% e peso ettolitrico spesso superiore a 80 kg/hl.
Ai fini dell’analisi la nostra regione rientra nel c.d. Cluster Centro (insieme alla Toscana) individuato da Ismea per l’analisi dei costi medi di produzione.
Dallo studio emerge che nel 2025, produrre un ettaro di frumento duro nelle Marche è costato in media 1.390 euro/ha, con una resa di 4,59 tonnellate per ettaro. Il costo medio di produzione, dunque, ammonta a 302,9 euro per tonnellata, a fronte di un prezzo medio di mercato basato sui listini delle “piazze” di riferimento di 296,5 euro/t (prezzo, comunque, più ottimistico rispetto alle reali valorizzazioni di mercato).
Il risultato? Un differenziale negativo del 2%, che significa che i ricavi non coprono interamente i costi sostenuti. Ovviamente si tratta di una analisi basata su medie che prendono in considerazioni situazioni anche molto distanti. Ad esempio, le aziende della fascia centro/costiera delle Marche dove le rese hanno facilmente superato le 5 tonnellate per ettaro avranno numeri più incoraggianti.
Il dettaglio delle spese fa emergere una struttura dei costi molto articolata così basata:
· Concimi: 224 €/ha (16%)
· Fitosanitari: 90 €/ha (7%)
· Sementi: 158 €/ha (11%)
· Prodotti energetici e acqua: 115 €/ha (8%)
· Lavori conto terzi: 289 €/ha (21%)
· Manodopera: 216 €/ha (16%)
· Spese generali: 59 €/ha (4%)
· Costi fissi (ammortamenti, capitale fondiario, interessi): 240 €/ha (17%)
È evidente come i lavori conto terzi e i costi fissi incidono pesantemente sulla redditività delle aziende cerealicole marchigiane, molte delle quali di piccola o media dimensione. Circostanza che spiega anche il costante orientamento del settore verso realtà sempre più ampie e specializzate a discapito delle piccole aziende “tradizionali”
Il prezzo medio all’origine per il grano duro (tutte le tipologie merceologiche) tra luglio e settembre 2025 è stato di circa 295 euro/t, un valore in linea con il 2024 ma ben lontano dai picchi registrati nel 2022, quando i prezzi avevano superato i 470 euro/t.
Tale stabilità, unita ai costi di produzione elevati, mantiene le aziende in una situazione di equilibrio precario secondo Ismea. Anche il lieve miglioramento produttivo non sempre basta, infatti, a compensare il margine negativo causato da prezzi di valorizzazione modesti.
Un piccolo, ma fondamentale, aiuto arriva dal PSR 2023–2027, che prevede un pagamento accoppiato di 102,86 €/ha per la coltivazione del frumento duro nelle regioni eleggibili, tra cui le Marche. A ciò si aggiunge il “fondo grano duro” con un massimale previsto di 100 €/ha per il 2025. Complessivamente, i contributi possono alleggerire i costi reali di produzione di circa 200 euro per ettaro, ma non sempre bastano a riportare la redditività in territorio sufficientemente positivo.
Una situazione critica ma ancora migliore rispetto ad alcune zone del sud Italia (Puglia, Sicilia, Basilicata), dove i costi medi scendono a 1.170 €/ha e le rese a 3,68 t/ha, il costo unitario di produzione (318 €/t) è ancora più alto rispetto al prezzo medio di vendita (295 €/t), con un differenziale negativo che arriva al 7%.
Le Marche, pur con costi maggiori per ettaro, risultano quindi ancora molto più efficienti per tonnellata prodotta, anche se non sempre tali abilità possono garantire margini adeguati.
Il quadro delineato dal report Ismea conferma che il frumento duro marchigiano resta un prodotto di qualità, ma con una redditività fragile.
La combinazione di costi elevati, margini negativi e una concorrenza estera (soprattutto da Canada e Grecia) sempre più aggressiva mette sotto pressione una filiera che ha bisogno di investimenti in meccanizzazione, contratti di filiera e innovazione agronomica per mantenere competitività e sostenibilità economica. Sicuramente una sfida sulla quale anche la riconfermata giunta regionale non potrà che riflettere per poi attuare una vera e reale valorizzazione di tale prodotto








