Sta destando non poche preoccupazioni fra gli agricoltori marchigiani l’attuale andamento delle quotazioni del grano duro, coltura regina del nostro territorio. Dopo una campagna di raccolta globalmente positiva, con rese importanti e qualità buona, sta andando in tutt’altra direzione la fase di valorizzazione di tale prodotto. Purtroppo, infatti, prezzi immotivatamente bassi corrono il rischio di vanificare il lavoro fin qui svolto in campo, rendendo vano il guadagno.

“La situazione sta diventando realmente preoccupante – afferma Andrea Pettinari, presidente di Confagricoltura Macerata – e le inquietudini per i prezzi di vendita del grano sono molte. Del resto, l’andamento dei mercati, al rientro dallo stop estivo, è stato allarmante. La prima quotazione post-Ferragosto ha visto il frumento duro perdere 30 centesimi al quintale, nella successiva addirittura 50. La prospettiva di vedere il nostro grano pagato 25 euro al quintale non può essere assolutamente soddisfacente.”
Una diffusa paura per dei prezzi troppo bassi che non sarebbero in grado di coprire le spese di produzione. “Ad oggi la coltivazione di un ettaro di grano ha un costo medio che oscilla fra i 1.200 ed i 1.300 euro (esclusi eventuali canoni di affitto od interessi sul capitale) – continua il presidente Pettinari – a tale somma se associamo una produzione media di 50 quintali per ettaro è evidente che i 25 euro sopra prospettati, o cifre ancora inferiori, non possono essere sufficienti per generare un guadagno. Con queste quotazioni si corre il rischio di coprire le spese e basta. È vero che in diversi casi, quest’anno, le produzioni hanno anche superato i 60/70 quintali, ma l’eventuale margine viene assorbito dai costi maggiori che gli agricoltori hanno sostenuto per produrre di più, partendo dalle ulteriori concimazioni effettuate.”

Un contesto allarmante al quale, si spera, verrà fornita una risposta, magari anche solo parziale, grazie alle ingenti somme messe a disposizione dal decreto Coltiva Italia. Un miliardo di euro di fondi per l’agricoltura di cui circa un terzo destinato alle filiere del grano. Ma a tal proposito Andrea Pettinari ricorda: “Al netto di eventuali, nuovi, supporti economici si rende necessario un intervento strutturale che metta in sicurezza definitivamente tale tipologia di coltura che, ricordiamo sempre, rappresenta ancora la principale per estensione e valore nella nostra regione. La filiera del grano duro è un’eccellenza marchigiana ed italiana ma, purtroppo, sconta sempre più non solo la concorrenza estera ma anche dei deficit infrastrutturali e di frammentazione nello stoccaggio che indeboliscono il comparto nazionale”.
Stoccatori che, al pari degli agricoltori, stanno osservando tale contesto con non poche perplessità. “La situazione attuale è indubbiamente anomala – conferma Daniele Bini, responsabile cereali del Consorzio Agrario di Ancona – la richiesta di prodotto da parte della filiera della trasformazione è attualmente molto bassa. In questo momento il mercato non sta richiedendo grano nazionale, probabilmente si è ancora in attesa di conoscere quali saranno le produzioni (e la qualità) del grano canadese, principale paese esportatore. Le importazioni di frumento dall’estero sono sempre imponenti, ma nella media con gli scorsi anni. Di certo, però, con quotazioni al ribasso diventa complesso anche per chi stocca il grano degli agricoltori, e poi lo commercializza, determinare un prezzo adeguato.”
Un quadro abbastanza complesso che coincide anche con la vigilia delle nuove semine. L’ulteriore minaccia è, quindi, che l’agricoltore sia ulteriormente demotivato a scegliere il grano duro andando a seminare meno superficie ripiegando su culture sicuramente meno caratterizzanti per le nostre zone, ma che richiedono minor impegno, come grano tenero o orzo. Ulteriore tentazione potrebbe essere quella di continuare a coltivare grano duro ma “a risparmio” andando a mettere a rischio non solo il prossimo raccolto, ma soprattutto la qualità della materia prima. Entrambi pericoli da scongiurare con ogni mezzo.