Le Marche? Hanno il distretto biologico più grande, ma…

Cresce il bio, ma non ai livelli degli altri paesi. C'è chi ci crede fortemente e chi ci rinuncia. Il problema della comunicazione al consumatore
Economia
di Veronique Angeletti

A più di tre anni della legge quadro sul biologico, dal Ministero arriva il nuovo marchio bio. Un’icona a forma di cuore tricolore affiancata dalla scritta “Biologico Italiano” del Ministero promette di fare la differenza. Garantendo produzioni 100% nazionali, è stato ideato per rafforzare l’immagine del bio made in Italy e per sostenere le esportazioni e i consumi interni. Un’opportunità significativa per le Marche, regione che, con 2.100 aziende, 71 mila ettari di superficie e un fatturato di 100 milioni di euro, ospita il primo distretto bio d’Europa. Anche perché studi internazionali, tra cui Nomisma per il progetto ITA.BIO di Ice Agenzia, attestano che esiste una crescente attrazione globale per il Made in Italy bio. Nonostante l’inflazione, nei primi quattro mesi del 2025, rispetto allo stesso periodo del 2024, le vendite bio in Italia sono cresciute del 2,6% in volume (ma +4,4% in valore); in Germania del 10%, nel Regno Unito dell’8%.

«Sono dati interessanti» ha commentato Maria Girolomoni della cooperativa Girolomoni al convegno  “L’agricoltura bio si rafforza con la cooperazione” che ospitava la scorsa settimana ad Isola del Piano. «Ma – ha ricordato – se l’Italia produce molto in termini di quantità, i consumi di prodotti bio continuano a non superare il 3,5%. Il che impone di lavorare per aumentare la consapevolezza del consumatore». Un parere che pesa quello dell’esponente della cooperativa Girolimoni: rappresenta un ecosistema di oltre 400 agricoltori che, forte di un mulino e di un pastificio di proprietà, garantisce la filiera “dal seme al piatto”.

Riflessione condivisa da Andrea Petrini della Tenuta Ugolino a Castelplanio: «La nostra scelta di produrre Verdicchio biologico è prima di tutto etica – ha affermato – per rispetto dell’ambiente e per garantire un prodotto sano al consumatore. Un’impostazione apprezzata all’estero, ma che non cancella un problema di comunicazione». Per Petrini, le certificazioni ufficiali soddisfano solo in parte la richiesta di trasparenza dei consumatori: «La nostra azienda – è entrato poi nel merito – non può esimersi di evidenziare che l’uva proviene esclusivamente dai 12,5 ettari di vigneti di proprietà e che non ci sono acquisti da terzi. Pertanto, un maggiore sostegno comunicativo ci aiuterebbe ad ampliare il mercato e a mitigare i costi più alti e le rese basse tipiche del biologico».

Offrire migliori prospettive di mercato si tradurrebbe inoltre con un potenziamento dell’offerta. «Noi – ha dichiarato Marco Eleuteri che con 155 ettari di pesche piatte Saturnia (marchio registrato) tra il maceratese e il fermano, è la più importante realtà in Europa sia per superficie, sia per varietà abbiamo rinunciato a produrre una pesca biologica. Uno perché esistono delle difficoltà agronomiche, la pesca è raccolta matura e poi, perché lo sforzo è inutile poiché il mercato italiano a differenza di quello straniero non dà le adeguate riconoscenze. Credo  – ha concluso –   – che in Italia ci sia ancora molta strada da fare, soprattutto rispetto ai paesi come la Germania o l’Europa centrale, dove il mercato biologico è più dinamico». Di fatto, la sua azienda dedica al radicchio bio una ventina di ettari sulle colline maceratesi di cui il 90 % delle 500 tonnellate prodotte sono destinate all’export. Pertanto, valorizzando la vocazione naturale delle Marche verso il biologico, il nuovo label bio nazionale si configura come un’occasione strategica per improntare una campagna volta a promuovere l’immagine di una regione dove si vive bene, si vive a lungo, si mangia bene in modo sano che rafforzi l’identità e la sostenibilità del distretto bio marchigiano promuovendo anche il turismo.

Tags: Biologico, in evidenza

Suggeriti

Contributi Inps dimezzati per tutti gli autonomi pensionati over 65

Da leggere