Da un recente studio Ocse è emerso che circa un terzo della popolazione italiana non sa interpretare un testo, ha difficoltà nel capire un discorso complesso e non ha alcuna dimestichezza con implicazioni logiche più o meno articolate. Dati allarmanti che fotografano, però, una condizione della società ormai strutturale che ha colpito ampi settori in modo trasversale, anche ai più alti livelli… Dimostrazione lampante è la recente approvazione della nuova normativa a tutela degli animali.
Il ddl 1308 appena passato in Senato, infatti, ha modificato radicalmente la normativa inerente i reati contro gli animali: il bene da tutelare non è più il “sentimento” umano “per” gli animali (concetto già di per sé di dubbia definizione) ma l’essere senziente in quanto tale. Un cambiamento di paradigma radicale rispetto al passato che, al netto delle roboanti dichiarazioni della Brambilla di turno, fa sorgere non pochi interrogativi sia sul piano della logica giuridica che su quello sostanziale. Se l’animale è, di fatto, quasi equiparato ad un essere umano, molti aspetti che sono stati punti fermi in millenni di civiltà umana sono ora messi in discussione.
Ma analizzando già solo l’aspetto prettamente tecnico, ad esempio, è quanto meno preoccupante osservare come l’inasprimento delle pene sia, in molti casi, smisurato. A titolo esemplificativo, l’articolo 544-quinquies prevede la reclusione fino a tre anni non solo per chi organizza combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali, ma anche per chi vi assiste. Per intendersi reati come la detenzione di materiale pornografico minorile, le lesioni personali stradali gravi, la corruzione di minorenni o l’adescamento prevedono la medesima pena. Chi questi animali destinati ai combattimenti li alleva, però, potrà essere colpito “solo” da una condanna che va dai tre mesi a due anni (oltre ad una multa da 5.000 a 30.000 euro).
Non paghi di ciò, a chi si macchia di questi reati ai danni degli animali (scommesse non autorizzate, combattimenti, etc..) verranno anche applicate le misure di prevenzione personali e patrimoniali previste dal libro I del codice delle leggi antimafia. In sostanza chi, in maniera assolutamente deprecabile, organizza un combattimento clandestino fra galli o cani diviene agli occhi della legge Don Vito Corleone…
L’animale, dunque, da un lato non è più “cosa” da sfruttare ma “essere senziente”, mentre dall’altro questa stessa definizione si scontra con numerose contraddizioni elaborate da un legislatore, forse, non pienamente consapevole di cosa stesse per approvare. La medesima legge, infatti, è costretta ad ammettere che gli animali restano comunque funzionali a soddisfare un bisogno umano, tramite l’allevamento.
Con la riformulazione dell’articolo 638 del Codice penale, ad esempio, si punisce con la reclusione da uno a quattro anni chiunque, senza necessità, “uccida o renda inservibili o comunque deteriori tre o più animali raccolti in gregge o in mandria”. Un dispositivo che continua, per fortuna, a dare peso anche agli interessi dei proprietari e degli allevatori eventualmente colpiti da un danneggiamento dei propri beni.
Ma al netto di questi, ed altri, curiosi aspetti tecnici, quello che più lascia sbigottiti è il portato sostanziale che si pone alla base di queste nuove leggi: la decisione di tutelare gli animali in quanto esseri che provano anche emozioni si fonda comunque su una macroscopica discriminazione ai danni degli animali stessi. Vi sono quelli di serie A che hanno sentimenti e vanno posti al centro dell’ordinamento giuridico (magari cani legati a catena, conigli abbandonati o cavalli usati per le corse clandestine) e poi vi sono la stragrande maggioranza che sono ora ritenuti di serie B e che possiamo continuare a macellare, tosare, mungere e cacciare…
Nonostante tutte le loro elucubrazioni mentali, gli Onorevoli autori della norma, infatti, sono comunque stati costretti a prevedere (FORTUNATAMENTE) che restino in vigore tutte le eccezioni dei casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, attività circense, giardini zoologici etc.
Ricapitolando, tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono MENO uguali degli altri. Una circostanza inevitabile in un mondo dove ancora ci è concesso, grazie a Dio, di mangiare carne o bere latte ma che, analizzata alla luce del recente assetto normativo, non fa altro che evidenziare come chi queste nuove leggi le ha pensate avesse più di qualche problema nell’elaborare un ragionamento complesso. Un ennesimo esempio?!? Il nuovo divieto di utilizzare a fini commerciali pellicce e pelli di gatti della specie felis catus (come se fosse una problematica di stretta attualità…) ma nessuna parola su nutrie, castori, cincillà e volpi…
La realtà è che anziché affrontare il problema della gestione del rapporto uomo/animali in maniera pragmatica e realistica il Parlamento, per l’ennesima volta, ha preferito assecondare un’opinione pubblica ondivaga rispetto che un sano buon senso. Il risultato? Una normativa pensata male e scritta peggio… come sempre più spesso capita.