Dai “classici” a Jean Giono e la fantastica storia di una foresta

Attualità
I libri della terra
di Antonio Prenna

Ancora classici? Perché no? La saggezza antica non smette di stupirci e il primo che da citare sarebbe dovuto essere Esiodo, il più antico scrittore di cui si abbiano notizie storiche, vissuto tra l’VIII e il VII secolo a.C. Esiodo trascorse la vita nel podere lasciatogli dal padre in Beozia, regione della Grecia centrale, trovando proprio nel lavoro dei campi la principale ispirazione per la sua vocazione di poeta. Nell’opera principale “Le opere e i giorni” (titolo dato dai posteri) l’eroismo non risiede semplicemente nell’affrontare con baldanza l’avversario sul campo di battaglia, ma anche nella contesa silenziosa e tenace del lavoratore con la dura terra e con gli elementi. Il libro di Esiodo è disponibile in diverse edizioni anche economiche. Qui un assaggio:
A Primavera dissoda: ché inganno all’Estate le zolle
non ti faranno. Getta nei solchi ancor soffici il seme:
scaccia il malocchio il maggese, dei bamboli calma le smanie.
L’altro autore da segnalare – me l’hanno detti in molti– sarebbe dovuto essere anche Lucio Giunio Moderato Columella con i suoi dodici libri “De re rustica”, in cui l’autore del I sec. d.C. ci lascia una descrizione accurata delle pratiche agricole in uso nelle aree mediterranee dell’impero romano. Grazie alla sua formazione scientifica, l’istinto di naturalista, l’esperienza diretta di agronomo e di imprenditore agricolo, compone il primo vero trattato di scienza della coltivazione. Anche per l’autore latino una citazione:
Gli occhi e le orme del padrone, le cose più salubri per il campo.
Il libro di Columella è stato pubblicato in una preziosa edizione Einaudi con il titolo “L’arte dell’agricoltura”.
Piantiamola qui con i testi dell’antichità. Virgilio, Catone, Columella e Esiodo sono più che sufficienti per rappresentare la sensibilità universale verso l’intervento dell’uomo sulla natura che è sempre la stessa da millenni. Occupiamoci di autori più attuali, proponendo comunque ancora un classico, stavolta moderno.
Jean Giono (nella foto) è stato un autore francese – di origini piemontesi – del Novecento. Nelle sue opere racconta storie che provengono dalla campagna provenzale, dove ha quasi sempre vissuto. Questo piccolo libro, –  dal 1953, anno di pubblicazione, un evergreen della letteratura e che si legge in un’ora poco più-  è il suo più famoso, dove attraverso un  apologo viene raccontata una vicenda che permette riflessioni sull’uomo e il suo rapporto con la natura. È la storia di Elzéard Bouffier, pastore – poi apicoltore – ritirato sui monti della Provenza che riesce a riforestare da solo un’arida vallata ai piedi delle Alpi francesi, piantando in tre anni 100.000 ghiande che diventeranno 10.000 querce. La storia, raccontata da un anonimo narratore (presumibilmente alter ego dell’autore stesso), inizia nel1913. Durante un’escursione chi narra esaurisce la sua scorta d’acqua e quando si trova in una vallata deserta e senza alberi, incontra un pastore con le sue pecore che lo rifocilla e accoglie nella sua casa solitaria. Il giorno dopo segue il pastore nelle sue peregrinazioni, mentre l’uomo – cinquantacinquenne – racconta della decisione di isolarsi in quel posto impervio, dopo la morte della moglie, e della sua attività di piantatore di alberi. L’intenzione è quella di far diventare quella terra desolata una foresta, piantando con metodo e senza sosta delle ghiande. Il narratore poi torna alla sua vita. Partecipa alla prima guerra mondiale , sopravvive alla furia delle macchine da guerra e ritorna in quegli stessi luoghi nel 1920. Rivede il pastore e si accorge che il paesaggio è cambiato. La vallata ora è ricca non solo di querce ma anche di  faggi e betulle, diventati alberi molto alti su una estensione di undici chilometri.
Il libro di Giono, il suo significato profondo,  mi ricorda le parole di Shodo Habukawa, bonzo mistico del Monte Koya in Giappone, ascoltate anni fa a un convegno del Meeting di Rimini:
“Consideriamo ad esempio un piccolo fiore, un piccolo fiore nella valle: questo fiore termina la sua esistenza bella, meravigliosa e pura senza che qualcuno se ne accorga”.
In fondo è quanto avviene per il gesto creatore di Elzéard. Le popolazioni vicine alla vallata – non più desolata – si accorgono della trasformazione del territorio ma la attribuiscono a fenomeni naturali. Solo nel 1935 la nuova foresta viene messa sotto la tutela dello Stato. Il gesto del pastore – anzi le migliaia di gesti del piantare alberi uno a uno –  insegna a essere pazienti e disinteressati per inseguire un ideale di bellezza in armonia con la natura e capire “come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione”.
Tra le molte edizioni del libro ne scegliamo due illustrate (l’opera è consigliata tra l’altro dai nove anni in su). La prima edita da Salani con i disegni di Simona Mulazzani, nota per aver illustrato la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepùlveda  e l’altra pubblicata da Feltrinelli con il segno (nella foto) di Tullio Pericoli , un marchigiano trapiantato a Milano che conosce bene le colline e gli scoscesi delle Marche.

 

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