Uva da tavola, una interessante nicchia marchigiana

Nella Val d'Aso l'attività di Unifrutti e l'idea di un progetto che potrebbe garantire una diversificazione remunerativa
Attualità
di Veronique Angeletti

E se il proletario acino dell’uva da tavola rubasse in alcuni territori la scena alla bacca nobile del vino? Non è fantagricoltura ma un futuro disegnato dall’uva senza semi. Lo si legge nelle nuove dinamiche che animano il sistema dell’uva da tavola da farne per produzione, export e innovazione, il secondo sistema nel settore ortofrutticolo italiano, solo alla mela. A questa coltivazione, l’Italia riserva 47 mila ettari da cui ricava in media poco più di un milione di tonnellate di cui il 45% (valore 750 milioni di euro) va all’estero e fa del nostro Paese, dopo Cina, Perù e Cile, il quarto paese esportatore nel mondo.

Una performance dovuta all’offerta italiana che, di per sé, è già di ottimo profilo qualitativo ma si è arricchita di uve seedless o acini senza semi. Ossia, mentre si continuano a raccogliere “varietà storiche” (Vittoria, Palieri, Italia e Red Globe), stanno aumentando il numero di varietà apirene (frutti maturi senza semi) che si sostituiscono alle varietà coltivate nei vecchi impianti. La prova si trova nel rapporto tra uva seedless e uva con semi che dal 53-47% nel 2022 è diventato nel 2023, 58-42%.

Vigneto di uva rossa

«Un’innovazione che non va interpretata in un modo conflittuale» avverte il presidente della Commissione italiana Uva da Tavola (Cut), Massimiliano Del Core «in quanto dobbiamo seguire i trend di consumo internazionali ma senza snaturare le nostre tradizioni». Le sue proposte? «Una maggiore programmazione nella filiera con l’obiettivo di allargare il calendario di consumo dell’uva da tavola seedless; valorizzare le varietà autoctone Made in Italy attraverso le denominazioni Igp; aprire la strada verso nuovi mercati». Insomma, i dati testimoniano che sono in corso nuovi equilibri dove la regione Marche potrebbe essere protagonista.

Perché in Val d’Aso opera il gruppo Unifrutti. Un colosso globale, leader nella produzione, distribuzione e nella fornitura di servizi nel settore della frutta fresca nato come compagnia Import/Export in Eritrea, nel 1948, fondata da Guido De Nadai. Ha centri produttivi e logistici in America Nord e Sud, nel Sud e Sud-Est Asiatico, in Medio Oriente, in Europa ed in Sud Africa. In Italia, la sua sede è a Montecosaro dove è presente il centro lavorazione e logistico mentre ad Ancona ha quello di lavorazione e maturazione banane. Seguito da Confagricoltura, vanta tre società agricole. Oranfrizer, sulle pendici dell’Etna, leader di mercato nella produzione e distribuzione di arance e succhi; Unipuglia, 80 ettari impegnati nella produzione di Uva da tavola seedless e Pesche Paraguyo; Unimarche, 60 ettari dove coltiva pera coscia, pesche e uve senza semi. Ed è in filiera con decine di altri coltivatori.

Silvano Cannone

«La produzione marchigiana – osserva Silvano Cannone, il direttore delle produzioni in Italia rappresenta una piccola quantità di quello che produciamo sui terreni di proprietà in Puglia e in Sicilia. Sono soli 15 ettari, ma stiamo continuando a investire in quanto l’uva senza seme è un prodotto target che farà la differenza sui mercati e siamo decisi a crescere fiduciosi che riusciremo a creare una piccola filiera nelle Marche». Motivo per cui Unifrutti partecipa a progetti di ricerca su questi cultivar e orienta molti investimenti. «La Val d’Aso – ribadisce il direttore – è vocata alla produzione di frutta e di ortaggi come molti altri terreni della fascia collinare marchigiana, ma potrebbe trovare un freno culturale. Perché qui – sottolinea – si coltiva uva da vino e l’uva da tavola non fa parte della tradizione».

Lavorare in filiera per Silvano Cannone significa aiutare l’agricoltore nella scelta della varietà più adatta al terreno e al microclima, fare assistenza tecnica e dare fiducia nella coltivazione impegnandosi a commercializzare tutto quello che sarà raccolta. «Partiamo – spiega il direttore delle produzioni – ovviamente da un progetto, meglio ancora se sono più di un produttore poiché a quel punto si condivide una strategia». Aggiunge: «Collaborare alla realizzazione del progetto significa assicurarsi la varietà e la qualità che richiedono i vari mercati». Paragonati ai costi di una coltivazione di uve per il vino (6-8 mila euro), la gestione di un ettaro di uve senza seme può a secondo le varietà salire fino a 14-15 mila euro «ma il prezzo dell’uva al chilo è maggiore – precisa Cannone – e la coltivazione è del tutto diversa». Ricorda che quelle da vino vengono raccolte quando hanno un equilibrio specifico tra zuccheri e acidità, ottimale per la fermentazione, mentre le uve da tavola sono coltivate per essere mangiate fresche; quindi, vengono raccolte quando hanno raggiunto la massima dolcezza e hanno una polpa più soda.

Anche nelle Marche, c’è un’antica uva da tavola. È registrata nel repertorio dell’Amap e si chiama “Uva melata”. È una varietà rara, in via di estinzione, originaria della regione del Piceno e diffusa in alcune zone come Castignano, Offida e Cossignano. Gli agricoltori narrano che l’uva Melata molto zuccherina, polposa e succosa, era molto apprezzata dall’uomo e dalle api che visitavano i grappoli e facevano fuoriuscire abbondante il succo, come melata, da cui probabilmente deriva il suo nome. I grappoli oltre ché mangiati freschi venivano appesi per essere consumati dopo stagione, anche fino a Natale. Custode: l’azienda agricola Mestechi di Alessandro Carboni a Ripaberarda.

Uva da tavola 2024 (dati Istat)

Italia 

 Paese Europeo
 Paese Export mondiale

Produzione: 47.514 ha – 10.026.934 quintali
94% prodotto in Puglia e in Sicilia
(38% per il consumo interno; 45 % per export; 15% per succo; 2 % di perdite)

Marche

Uva da vino: 15.397 ha – 1.235.470 quintali
(Vini Dop: 8.446 ha/ 630.436 q; Vini Igp: 3.216 ha – 256.993 q)

Uva da tavola: 8 ha – 560 quintali

 

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