Agrivoltaico, un affare per chi? Non proprio per gli agricoltori!

Economia
di Alberto Maria Alessandrini

Dopo mesi di supposizioni, notizie frammentarie e, spesso, confuse, è stato recentemente approvato dal ministero per la Transizione Ecologica il c.d. “decreto Agrivoltaico”. Tale atto, che si inserisce nel complesso percorso di transizione ecologica divenuto ormai un mantra per la politica comunitaria, potrà usufruire di ingenti risorse messe a disposizione del PNRR per un totale complessivo di circa 1 miliardo e 100 milioni di euro. Obiettivo, la produzione di 1,04 GW su migliaia e migliaia di ettari di terreno agricolo che, rispetto al passato, non dovrebbe totalmente essere sottratto alla produzione ma essere utilizzato per coltivare e, contemporaneamente, per produrre energia. Finalità nobili ma non di così facile attuazione in concreto.

Il decreto del ministero definisce impianto agrivoltaico quelle soluzioni integrate “innovative” che prevedono il montaggio dei moduli elevati da terra, anche immaginando la rotazione degli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale. Ciò deve anche prevedere la possibilità di sfruttare l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione. Il tutto seguendo le linee guida che saranno adottate dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria-CREA in collaborazione con il GSE (Tali criteri riguarderanno numerosi fattori quali il risparmio idrico, la produttività delle diverse colture, la fertilità del suolo, il microclima, etc..) Elemento già noto la proporzione fra pannelli (massimo 30%) e superficie agricola lasciata libera così da garantire la prevalenza delle aree teoricamente utilizzabili per le produzioni.

Non pochi, naturalmente, i dubbi circa la reale capacità di far coesistere distese di pannelli fotovoltaici con buona parte delle produzioni agricole tipiche delle nostre latitudini. Escluse, infatti, le attività di allevamento che potrebbero essere le più facilmente conciliabili (prati con file di pannelli intorno ai quali brucano pecore o mucche) la questione si complica per buona parte delle attività culturali. Sarebbe necessario rammentare come la scomparsa dei filari (con piante di vite, alberi da frutto, gelsi) che un tempo puntellavano le nostre campagne siano stati eradicati proprio perché ormai non più conciliabili con l’agricoltura moderna. O ancora sarebbe sufficiente osservare cosa accade ai cereali, agli ortaggi o al girasole seminato troppo vicino alle chiome degli alberi.

Al netto delle considerazioni tecniche, sapendo che certamente ci saranno anche delle produzioni che potranno essere realizzate in tal modo, resta la seconda questione, forse la primaria: la sostenibilità economica del tutto.

Il beneficio economico riservato agli agricoltori sarà suddiviso fra un contributo in conto capitale, fino al 40% dei costi sostenuti per la realizzazione ed una tariffa teoricamente incentivante per la quantità di energia elettrica. Tariffa che dai 93 euro al MWh per gli impianti sotto i 300 kw scende ad 85 per quelli di maggiore dimensione. Cifre ben lontane da quelle un tempo previste dai primi conti energia.

A tal proposito interessante il commento di Francesco Vitali, consigliere di Confagricoltura Ancona (nella foto) con un’azienda a Belvedere Ostrense e proprietario di un impianto da 500 kw: “Sorvolando su quanto possa essere davvero fattibile coltivare sotto, o a fianco, a delle pensiline, la vera valutazione deve essere impostata sul piano economico. Con un contributo per la realizzazione che si ferma al 40% reputo difficile che un’azienda agricola possa riuscire a compensare la differenza del 60% unicamente facendo conto sulla vendita di energia a tali prezzi. Faccio un esempio estremamente concreto: il nostro impianto aziendale da 500 kw (realizzato nel lontano 2011) beneficia di un contributo di 28 centesimi a kwh prodotto così come previsto dalla normativa di allora. Nonostante tale condizione favorevole, oggi, con i tassi del mutuo arrivati al 6% siamo tecnicamente in rimessa. Ovviamente nel nostro caso il calcolo andrà fatto nel lungo periodo e le tariffe di cui abbiamo goduto in questi anni hanno garantito la sussistenza economica generale dell’investimento. Per l’agrivoltaico di oggi, invece, non si parla di 28 centesimi ma di 8, massimo 9. Con tali cifre non può essere sostenibile ed i margini, se presenti, sono a mio avviso troppo modesti per poter giustificare l’investimento. Perdipiù con una cifra omnicomprensiva fissa per i prossimi vent’anni anche eventuali aumenti del costo dell’energia non porterebbero comunque vantaggi ai proprietari degli impianti”.

Dubbi comuni a molti agricoltori che si stanno approcciando alla misura. La questione reale, del resto, verte sulla reale efficacia della misura così come strutturata, su quanto sarà veramente sposata dagli agricoltori o se, invece, vedrà un interesse da parte di altri mondi. La possibilità di creare associazioni temporanee di impresa che coinvolgono anche realtà extra agricole, infatti, ne è un primo segnale. Qualche punto percentuale di utile, infatti, sono poca cosa per un’azienda agricola, ma possono diventare interessanti per grandi realtà finanziari, fondi di investimento od aziende con la possibilità di fare investimenti da decine di milioni di euro.

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Tags: agricoltaico, in evidenza, Vitali

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