Già, anche le Marche sono una regione del cappero!

Economia
di Veronique Angeletti

Il cappero è un arbusto ribelle. Decide dove crescere e odia essere trapiantato. Con discrezione, colonizza crepe, anfratti, rocce, rocche e campanili. E poco gli importa se si trova in campagna o in città. Adorna sia la facciata delle chiese di Siracusa che quella del Castello Sforza di Milano. Tuttavia, ha i suoi feudi. I più conosciuti sono in Sicilia, quello Igp di Pantelleria e a Messina, il “Salina”, Presidio Slow Food e poi, una roccaforte a Borgo Cisterna, a Macerata Feltria nel pesarese. Regno del “Capparis rupestris” o “Cappero spinoso” che l’Amap (ex Assam), l’Agenzia Marche Agricoltura e Pesca, ha registrato nel repertorio della biodiversità dal 2013 per merito della sensibilità di Mario Galleroni e di sua moglie Stefania Fraccaroli.

NIENTE RESTAURO – Tutto risale al 2003 quando la coppia bolognese decide di trasferirsi con i quattro figli nell’alto Montefeltro e compra il borgo storico e il podere agricolo di Santa Lucia Cisterna che trasforma in un splendido agriturismo grande 5 dimore completo di piscina con vista panoramica. «Avevamo notato – racconta Mario – sul muro di una dependance due piante striminzite, quasi morenti che, consapevoli che erano capperi, abbiamo curato e più di tutto preservate non restaurando i muri dove avevano attecchito». Il resto è storia: le piante si sono estese ed oggi assicurano, tra maggio e l’inizio di settembre, una raccolta media giornaliera di 800 gr di boccioli fiorali. «Che scegliamo in base al grado di maturazione – chiarisce Mario – non facendo man bassa come altrove». La prova del rispetto che questa famiglia ha per questa pianta schiva e difficile da coltivare. «Il fatto che la si trova su pietra e rocce – entra nel merito – è perché le lucertole e gli uccelli sono ghiotti degli essudati zuccherini del frutto e quindi ingeriscono i semi. Questi semi, protetti dal loro duro sclerozio, passano indenni attraverso il loro apparato digestivo e sono espulsi con la defecazione. Motivo per cui le piante si propagano e si ritrovano nei posti più impensabili».

L’Amap ipotizza che fu un uccello migratorio ad aver depositato i semi negli antichi borghi di Cisterna e Piagniano (Sassocorvaro) dove la pianta ha evoluto fino a distinguersi. Lo si riconosce dalla maggior densità di foglie che gli consente di catturare più luce essendo a latitudini più a nord del consueto e di far evaporare più facilmente l’umidità in eccesso, e pure dai boccioli floreali (i capperi che consumiamo in cucina) dal colore verde più chiaro e dalla forma leggermente più tonda e schiacciata sui lati con le brattee (le foglie sotto) evidenti e gonfie. Anche se la differenza si avverte più di tutto al palato con il suo peculiare retrogusto mandorlato.

SOLO SOTTO SALE-  «Al naturale – entra nel merito Galleroni – è impossibile mangiarlo. Anzi è fastidioso. Solo la fermentazione in un ambiente iper salino riesce a fargli rilasciare più zuccheri e tutti i suoi profumi e spiega perché vanno evitati quelli in salamoia». A declinarlo in cucina, ci pensa Stefania. Abbina ai formaggi, il miele delle api del podere, prepara salsine, condisce crostini, lo inserisce nelle scaloppine al Verdicchio. Ma il sublime sono i capperi nel coniglio ai funghi Porcini e Lacrima di Morro d’Alba e le crocchette ripiene di “cucunci”, il frutto dei capperi, e salvia fritta.

Tags: Borgo Cisterna, cappero, in evidenza

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