Carne “sintetica”: problema reale o semplice propaganda?

Andare contro la scienza, dimenticando il mondo che ci circonda
Politica
di Alberto Maria Alessandrini

Lo scrittore e medico statunitense Oliver Wendell Holmes, oltre un secolo fa, sosteneva che “Un buon slogan può oscurare l’analisi per cinquant’anni.” Ed è proprio così che oggi potremmo definire la singolare levata di scudi di molti nei confronti della carne coltivata o cellulare che, proprio per alimentare dubbi e propaganda, viene definita impropriamente sintetica.

Impropriamente perché lo stesso termine “sintetico” (contrapposto a “naturale”) in italiano viene impiegato per indicare il risultato di una sintesi al di fuori degli organismi viventi: ad esempio un tessuto sintetico differisce dal cotone o dalla lana che derivano da una pianta e da animali. Pur non meravigliandosi nel constatare che sempre più ampie fasce della popolazione padroneggino sempre meno la lingua italiana, è necessario osservare, però, che nulla di tutto ciò avviene nel caso della carne coltivata. Questa, infatti, si produce proprio partendo da cellule animali che vengono fatte crescere e differenziare per produrre tessuti, imitando di fatto ciò che avviene normalmente con la crescita di un essere vivente. Un procedimento senza dubbio complesso, nuovo, non particolarmente attraente che può suscitare dubbi e legittime perplessità ma che, se pur con i dovuti distinguo, avviene in molti altri casi. Del resto, sono coltivazioni “controllate” quelle dei lieviti per i prodotti da forno così come le colture di penicillina ci hanno permesso di avere gli antibiotici.

Fatte tali premesse, non è intenzione andare in questa sede ad analizzare i pro ed i contro di un ritrovato della scienza che si trova in fase iniziale. Può essere interessante, invece, constatare l’approccio che molti “portatori di interessi” nel mondo agricolo hanno avuto. Vietare a prescindere un qualcosa del quale ancora si conoscono poco gli effetti, nonostante tutti gli studi più accreditati siano concordi nell’escludere rischi per la salute, quale senso può avere se non quello di fare propaganda?!

Raccogliere firme per auspicare divieti od inveire contro la scienza quale significato ha se non quello di precludere ogni possibile forma di ricerca e di sviluppo in un settore verso il quale è già stata rivolta l’attenzione del resto del mondo?!

Già solo analizzando la questione sul piano pratico/economico, ci rendiamo conto di come si sia di fronte ad un falso problema. Osservando le classifiche dei maggiori paesi produttori di carne scopriamo che l’Italia si posiziona al 19° posto con una produzione di circa 3.6 milioni di tonnellate/anno. Per avere un ordine di grandezza la Cina è prima con oltre 88 milioni, gli Usa arrivano a 46 milioni, il Brasile 29 mentre la Russia supera 10 milioni.

Il nostro è un paese piccolo, che sfama una percentuale di abitanti di questa terra irrisoria, ma che produce grandissima qualità. Prodotti spesso di nicchia che non saranno mai riproducibili in laboratorio. Nessun bioretatore potrà mai produrre Prosciutto di Carpegna, fiorentine o moscioli di Portonovo e, forse, in un futuro in cui ampie fasce di popolazione si nutriranno anche di carne coltivata, il made in Italy genuino e tradizionale potrebbe essere ancor più valorizzato come prodotto di nicchia e di eccellenza.

Tale crociata nel mondo delle proteine animali ricorda molto quello che è avvenuto decenni prima nei riguardi degli OGM ed i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti. Nel nostro paese abbiamo vietato, in modo miope, la possibilità di far crescere mais, soia e tante altre colture geneticamente modificate, mentre al contempo buona parte delle carni che mangiamo provengono da animali nutriti con farine OGM importate. Oggi in un contesto di cambiamenti climatici, aumento della popolazione e scarsità di risorse, forse, poter contare su varietà che si ammalano di meno, resistono meglio al caldo o che necessitano di poca acqua per crescere non sarebbe stato poi così male.

Con la carne coltivata sta avvenendo la stessa cosa. Schierandoci a prescindere contro un qualcosa che conosciamo, poco dimentichiamo che il resto del mondo va avanti indipendentemente da noi. La realtà è che oggi non sappiamo se questa carne possa essere o meno il futuro, non conosciamo il suo reale impatto sull’ambiente e, soprattutto, nessuno può dire in quale modo potrà inserirsi all’interno delle nostre abitudini alimentari.

Contemporaneamente, però, se vogliamo essere intellettualmente onesti non possiamo accettare la scienza solo in base alle convenienze di bandiera così come non possiamo negare che al di fuori dell’Italia e dell’Europa (con popolazioni tutto sommato ricche, che mangiano bene e crescono poco) esistono nazioni con centinaia di milioni di persone affamate che aumentano a ritmi vortiginosi. Questi miliardi di futuri abitanti del mondo stanno avendo oggi un assaggio di quel benessere del quale noi occidentali abbiamo avuto il monopolio per anni e dovranno essere sfamati in qualche modo. Come avverrà ciò?! Da questa prospettiva, forse, lo sviluppo di metodi e sistemi produttivi nuovi assume un altro significato.

In conclusione, quindi, salvo ulteriori sviluppi, gli unici a doversi preoccupare sono i nostri vitelloni bianchi marchigiani che fortunatamente, per tanti anni ancora, continueranno a finire sulle nostre tavole.

 

Tags: Carni sintetiche, in evidenza

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