“Il lupo alle pecore” al km.0: storia della fattoria Caborà

Attualità
Invito al viaggio nelle Marche della produzione e del gusto
di Antonio Prenna

I soprannomi un tempo sostituivano i nomi e cognomi veri e si tramandavano in famiglia, come una sorta di appellativo di clan. Nell’attualità non si usano quasi più almeno con quella funzione – attraverso il soprannome un individuo era noto nella comunità – ma quando incontro Eugenia Quattrini e le chiedo il significato della denominazione data all’azienda di famiglia, mi racconta che all’inizio – recente – della sua attività molti nei dintorni si chiedevano chi ci fosse dietro la fattoria e dicevano: “È delle caborane”.
Caborà è il soprannome della famiglia Quattrini. Derivato da chissà quali combinazioni linguistiche e di significato, riflesso delle caratteristiche fisiche, delle abitudini o del mestiere o della provenienza geografica di chi viene chiamato in quel modo. Riferimenti che molto spesso si perdono e in molti casi come questo è assai difficile risalire alle origini del suo significato. Forse carbonaio? Caporale? Canapè? Le ricerche sul web sono state infruttuose, ma ormai poco importa da dove proviene. Il soprannome è un titolo che il capostipite si è guadagnato per tutta la discendenza. Caborà è ora il nome della fattoria che produce e vende prodotti genuini e salutari a km zero, come si legge sul sito internet, creata dagli eredi di Giovanni Quattrini, le figlie Eugenia e Margherita e il marito Luigi Brandoni, che hanno rilevato l’azienda dopo la sua scomparsa – e che con questo progetto di tipo nuovo – ma in fondo universale – intendono ribadire con il loro lavoro i valori trasmessi dal padre e suocero. Questi si possono riassumere in un proverbio che Giovannì de Caborà ripeteva spesso: “A ognuno il suo mestiere, e il lupo alle pecore”. Proverbio utile per ribadire quanto sia importante nella vita quotidiana la professionalità nello svolgere un compito ben preciso.
Siamo nella vallata del Musone, territorio di Osimo che si rivolge a Loreto, precisamente a Campocavallo. Qui sorge l’imponente santuario, costruito sul luogo della chiesetta che l’ha preceduto, dove avvenne un evento miracoloso nel 1892. Un quadro della Madonna Addolorata cominciò a versare lacrime e a muovere gli occhi. Fenomeno che continuò per i successivi dieci anni, osservato de visu da numerosi testimoni. Di qui la costruzione di una chiesa più importante. Sanctum diventa il luogo dove avvengono eventi miracolosi, un santuario meta di pellegrinaggi,. A Campocavallo dal 1939 tra l’altro si svolge la Festa del Covo nella prima domenica di agosto che consiste nella processione di un carro (“cou” in dialetto) rivestito di spighe di grano intrecciate tra loro, rappresentante una chiesa simbolo della fede mariana nel mondo. In quell’anno Giovanni Quattrini detto Caborà aveva sei anni. Cresce negli anni ’30 all’ombra del santuario e a scuola – che si trova a Osimo dove ci arriva percorrendo quasi 5 km. a piedi – si rivela un alunno dotato e volonteroso. Deve mettere a frutto il suo ingegno. Negli anni ’50 si iscrive allora alla Scuola pratica di Agricoltura di Fabriano, dove si formano dalla fine dell’800 fattori e agronomi. Finiti gli studi, finiti i viaggi in treno fino alla città della carta, Giovanni inizia ad affiancare nel lavoro un anziano fattore. Non si risparmia. Con gli anni guadagna la fiducia ed il rispetto di molti proprietari che gli affidano la gestione delle proprie terre, inoltre stabilisce, grazie alla sua indole generosa, un ottimo rapporto coi mezzadri e i contadini che vivono nelle case coloniche locali. Giovanni fonda il suo lavoro su professionalità ed affidabilità, arrivando ad amministrare circa 500 ettari di terra, fino a Filottrano e Jesi, guadagnandosi stima e riconoscenza. Il 1973 è un anno di svolta quando con la moglie Renata registra la “Società agricola semplice Quattrini Giovanni e Pirani Renata”, un’azienda basata fin da subito su tradizione e rispetto per l’ambiente. Arriviamo al 2021 e all’idea degli eredi di Giovanni di avviare l’attività “mantenendo – racconta Eugenia – i metodi tradizionali e ricercando le migliori pratiche agronomiche per garantire prodotti sani, tracciabili nel loro percorso produttivo e che rispettino il ciclo vitale degli animali che alleviamo in modo naturale, senza forzature alimentari e nel rispetto dell’ambiente”.
L’azienda conduce i suoi terreni seguendo un regime di agricoltura a lotta integrata intervenendo con la chimica solo quando il potenziale danno arrecato al raccolto supera il costo del trattamento stesso. In ogni caso il prodotto da lotta integrata è più “pulito” di quello convenzionale, con il minor apporto possibile di pesticidi e fitofarmaci e con metodi innovativi all’insegna del risparmio energetico. È la filosofia del km. zero che un tempo era la realtà- si viveva per lo più con i prodotti della terra circostante – e che adesso, con l’industrializzazione dell’agricoltura e l’appiattimento della qualità generale, è diventata sinonimo di freschezza dei prodotti, consumo ecosostenibile e contatto diretto con il produttore, fondamentale per instaurare quel rapporto di fiducia che era già tipico di Giovanni. Nel punto vendita abbiamo trovato paste di vario tipo, farina, confetture, olio, tutti prodotti dalla filiera corta che garantiscono genuinità. “Sono convinta – conclude Eugenia – che oggi, specie tra i più giovani, si sia diffusa l’abitudine di consumare in modo quasi compulsivo prodotti industriali e dal gusto artificiale, dannosi al fisico e alla lunga anche all’anima. Il nostro agire non è rivolto al puro profitto, ma c’è il desiderio e l’ambizione di compiere un’opera educativa, per far crescere tra le persone una coscienza alimentare, consapevoli che il vero benessere passa soprattutto da un buon cibo”. In una parola il lupo alle pecore.

 

 

 

 

 

Tags: caborà, in evidenza, osimo, quattrini

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