La “rivincita” delle capre grazie a burro, yogurt e formaggi

Quasi tutta destinata al settore caseario la produzione delle Marche
Economia
di Veronique Angeletti

Con un tasso di crescita del 270% in 11 anni e del 40% dal 2016, il latte di capra è tra le realtà più dinamiche dell’agroalimentare italiano. «Un periodo definito dagli stessi operatori d’oro – spiega Ismea nel suo ultimo report – soprattutto grazie al rafforzamento dei prezzi dei prodotti più rappresentativi che hanno consentito una soddisfacente ripartizione del valore lungo tutta la filiera e hanno innescato vari processi di innovazione».

Una situazione in parte da attribuire ad un nuovo consumatore recettivo a latti animali diversi da quello vaccino e ben consapevole della qualità di proteine e grassi che conferisce caratteristiche organolettiche eccezionali ai formaggi, agli yogurt e al burro ottenuti con latte caprino. Di fatto, in Italia, il 70% degli allevamenti forniscono latte per il settore caseario, percentuale che sale all’85% nelle Marche con circa 1.400 aziende su 1639 orientate alla produzione di latte. Numeri che evidenziano un nuovo ruolo per l’allevamento di quest’animale che può fare la sua parte nell’attenuare l’insicurezza alimentare e la malnutrizione. Inoltre, sfruttare i vantaggi biologici, metabolici, comportamentali, sociali ed economici delle capre consente di gestire meglio aree vulnerabili come quelle montane.

È noto come le capre siano efficaci come controllo biologico delle erbe infestanti. Possono migliorare l’utilizzo delle risorse pascolando specie vegetali miste. Ma se in un sistema di allevamento confinato, le capre, possono accelerare il degrado del paesaggio vegetale, in un sistema estensivo naturale, le capre ingeriscono più specie vegetali rispetto ad altri ruminanti, coprono una gamma più vasta di terreni ed esercitano una minore pressione sul degrado vegetale e ambientale mantenendo la diversità del paesaggio.

Una bella rivincita per quest’animale, il secondo addomesticato dopo il cane circa 7 mila anni fa. Diffamato e messo al bando nell’800 perché accusato di distruggere i boschi e di essere all’origine del dissesto ambientale. Fu addirittura oggetto di leggi comunali che multavano la sua presenza “all’infuori di terreni nudi, rocciosi e cespugliati non suscettibili di rimboschimenti” e favorirono la sostituzione delle razze nostrane con altre per l’utilizzo del “pelo”, come la capra d’Angora.

Ma anche colpa dell’industrializzazione dell’agro-alimentare. «Ha mutato la configurazione del settore – osserva Eros Scarafoni dell’azienda Fontegranne a Belmonte Piceno – con le fattorie che si sono dedicate al seminativo. Mentre noi abbiamo scelto l’allevamento di Frisona e con il latte vaccino, nel 2000 si è iniziato a produrre “caci persi e caci inventati” e quattro anni dopo il latte caprino». Il litro Uht sullo scaffale si vende tra 2,20 e 5 euro, nella fattoria vale 80 centesimi. «Perché il latte – spiega – ha valore se trasformato. Una capra produce circa 3 quintali di latte l’anno, la resa per i formaggi freschi è intorno al 14-15% mentre per gli stagionati si assesta al 9-10%, il che non è molto alta, ma mette sul mercato formaggi speciali dal sapore intenso e profumato».
Per Scarafoni, la rusticità, l’adattabilità e l’autonomia della capra sono sicuramente dei vantaggi ma «meglio mandarle al pascolo con la pancia bella piena».

Comunque, la capra, animale d’aria – non bruca erba ma l’apparato aereo degli arbusti – diventa ancora più preziosa se allevata nei terreni marginali a cui ridà un valore economico. A Rotella, Antonietta Angelini dell’azienda agricola “Le Capre di Capradosso”, 800 m slm, alleva al pascolo 66 camosciate delle Alpi, 30 pecore e due mucche pezzate rosse. Racconta che «sono in totale libertà ma ben custodite e rientrano di notte nella stalla o spontaneamente per la mungitura alle 5 e alle 17 dove trovano una miscela alimentare appositamente studiata con il veterinario». Declina il latte caprino lavorato a crudo con caglio vegetale in una quindicina di tipi di formaggio, tra cui spicca quello all’anice di Castignano.

Tra i piatti forti de “Il Casale”, a Pergola, c’è il capretto al forno, che l’agrichef Coldiretti Doriana Barattini Pascucci alleva a Madonna del Piano di San Lorenzo in Campo. In tutto sono 13 animali destinati solo alle sue cucine dopo il controllo dei mattatoi di Sassoferrato. «Il valore di un animale di 20 kg non supera i 180 euro – fa notare – e non c’è richiesta da parte del mercato». Di fatto, dai dati Istat risulta un crollo della carne di capre e ovini che dai 6,8 milioni di capi macellati nel 2006 sono diventati 2,9 milioni nel 2018. Ma in questo caso, proporre questa rara specialità in filiera garantisce il suo valore all’allevamento.

In Italia al 31 dicembre 2022 (Fonte Istat)

887.189 capre
42.430 tonnellate di latte

Nelle Marche al 31 ottobre 2020

7.749 capre, 1,639 allevamenti di cui 1.400 circa orientati al latte

Qualche altro numero: Una capra giovane al primo parto vale 200- 250 euro, ha una vita media 10-12 anni. Produce circa 3 quintali di latte all’anno. Un litro di latte vale in azienda 80 centesimi,  sullo scaffale tra 2,20 fino a 5 euro

Tags: capre, in evidenza

Suggeriti

Nuova Sabatini, più risorse. Riformato il Fondo di garanzia
Agrivoltaico innovativo, ci siamo: decreto entro il mese

Da leggere