Bovini, il lento declino della razza Marchigiana

Diventa complesso allevarla, servono scelte di campo precise
Economia
di Alberto Maria Alessandrini

Talmente tipica di queste terre da portarne il nome – razza Marchigiana – il bovino rappresenta, senza dubbio, una delle bandiere dell’agricoltura regionale. Animale di taglia medio grande, dal mantello chiaro ed arti robusti (inizialmente selezionato per il lavoro nei campi) a partire dalla fine del secolo scorso ha trovato una sempre maggiore diffusione come razza da carne. Alta la qualità del prodotto contraddistinto dal giusto grado d’infiltrazione di grasso, molte proteine e bassi livelli di colesterolo tanto da poter vantare il riconoscimento IGP con la denominazione Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale. Una eccellenza del territorio che, però, nonostante questo inizia a risentire di non poche difficoltà.

Dei quasi 25.000 capi presenti nella nostra regione nel 2010 ne rimangono oggi circa 15.000, un calo importante che, se da un lato continua a vedere le Marche al primo posto in Italia come consistenza di animali (seconda la Campania con 9633 e terzo l’Abruzzo con 8581, fonte Anabic), è sintomo evidente delle criticità che tale razza inizia a mostrare. Perché se è vero che l’intero comparto zootecnico nazionale sta attraversando una forte crisi, è altrettanto evidente che alcune razze di bovini ne stanno risentendo molto più di altre.

Le criticità evidenziate dagli allevatori

Stefano Giorgi

“In un settore come il nostro in cui le difficoltà sono già molte (burocrazia, alti costi di gestione, mancanza di infrastrutture, etc) è naturale che laddove la razza allevata non riesca ad essere più particolarmente performante la situazione diventi ancor più complessa” ricorda Stefano Giorgi, agricoltore di Ancona che da oltre vent’anni alleva Marchigiane. “In questi ultimi decenni si è preferita una selezione orientata prevalentemente sui maschi così da avere tori con buoni pesi e rese accettabili. Tale scelta, se ha aiutato nel breve periodo, oggi inizia a mostrare delle debolezze soprattutto per quanto riguarda la selezione delle femmine. Una razza che fino agli anni ’80 era ancora considerata a duplice attitudine oggi inizia ad avere difficoltà nella gestione dei vitelli o nei periodi di interparto sempre più lunghi. Tutto ciò rende poi dispendioso l’allevamento e l’ingrasso dei vitelli, soprattutto di quelli nati allo stato brado e cresciuti in montagna che raggiungono pesi nettamente inferiori e sviluppi ritardati rispetto a quegli stessi animali gestiti all’interno delle stalle.”

La capacità di adattarsi ai pascoli poveri dell’Italia centrale, infatti, è sempre stata uno dei punti di forza di tale razza, aspetto che potrebbe non essere più così scontato. “Vuoi per colpa delle stagioni altalenanti con frequenti mancanze di piogge e di erba, vuoi per il fatto che la marchigiana è una razza che fa più fatica di altre a mettere grasso – continua Giorgi – oggi inizia ad essere necessario riconsiderare la gestione e la selezione di tali animali. Dopo il boom che abbiamo vissuto negli anni ’90 in cui il valore di tali bovini era alto grazie all’esportazioni oltre oceano, ed una volta superato il periodo della mucca pazza ad inizio duemila che aveva fatto rivalutare il consumatore sulle nostre razze autoctone, oggi il mercato è nuovamente cambiato. Per riuscire ad avere aziende sostenibili economicamente e prodotti apprezzati dagli acquirenti finali saremo costretti a rivalutare il processo di selezione degli animali. Le modalità sarebbero varie, ad esempio, con la castrazione dei maschi come fanno con il bue grasso in Piemonte oppure praticando anche degli incroci con altre razze più idonee per la produzione di carne. Questo non vuol dire abbandonare o far sparire la razza Marchigiana, ma semplicemente comprendere come possano esserci degli strumenti per arginare un problema più complesso.”

Problematiche riscontrare anche da Gianluca Manzotti, allevatore di Sappanico che gestisce una stalla di circa 100 capi da ingrasso “Abbiamo animali di varie razze, fra cui anche Marchigiane, animale che continuiamo ad allevare nonostante le complessità. Il prodotto è senza dubbio apprezzato, ma le difficoltà di gestione non sono poche, l’indice di conversione è basso, l’accrescimento lento ed il carattere estremamente nevrile, soprattutto per gli animali nati al pascolo. Mediamente, per ottenere la giusta marezzatura e consistenza di grasso, sono necessari tre o quattro mesi in più rispetto agli altri animali che abbiamo in azienda. Certamente il prezzo finale che riusciamo spuntare, grazie all’IGP, è migliore ma non sempre a conti fatti questo si traduce in guadagno”.

Il rilancio passa da scelte di campo

Antonio Trionfi Honorati

“Per salvaguardare quella che è un simbolo del nostro territorio diventa oggi necessario prendere delle chiare e precise decisioni” afferma infine Antonio Trionfi Honorati presidente di Confagricoltura Ancona. “Laddove si voglia ritenere il bovino marchigiano un valore aggiunto per le nostre aree interne, grazie alla sua robustezza e capacità di adattamento, allora è necessario mettere in condizione gli agricoltori di poterlo allevare in modo conveniente soprattutto nelle aree meno vocate ad altre forme di agricoltura estensiva. E mi riferisco al controllo della fauna selvatica con la quale madri e vitelli vanno spesso in contrasto (lupi in primis), alla costruzione di nuovi mattatoi nelle aree interne e ad una valorizzazione efficace di un prodotto che è inevitabilmente diverso rispetto ad altre carni più commerciali ed apprezzate. In alternativa, se l’obiettivo è quello di rendere concorrenziale l’allevamento di questi animali su altre razze, è ormai ora di rivedere la selezione puntando ad animali che siano più performanti e gestibili.”

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Tags: Antonio Trionfi Honorati, bovini, Gianluca Manzotti, in evidenza, Razza Marchigiana, Stefano Giorgi

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