“Pera coscia” della Vald’Aso, gli obiettivi sono ambiziosi

Al lavoro per triplicare la produzione e ottenere la certificazione Igp
Economia

La pera coscia ritorna regina nel suo antico feudo, la Val d’Aso. Nel secolo scorso, dominava dall’alto dei suoi alberi monumentali (oltre 8 metri di altezza) la vallata e le colline dell’entroterra fermano ed ascolano ed era uno dei pilastri del sostentamento delle famiglie contadine. Ben 10 mila tonnellate raccolte ogni anno prima della guerra. Poi, il declino. «Un po’ per colpa dell’abbandono delle campagne – spiega Mauro Acciarri (nella foto) dell’azienda agricola “Terre dell’Aso” di Ortezzano – ma più di tutto a causa della scarsa remunerazione e di vecchi impianti non meccanizzabili che non garantivano la sicurezza degli operatori agricoli». Problemi su cui dagli anni ’80, la famiglia Acciari si è concentrata lavorando con il rustico pero cotogno come portinnesto e ottenendo un pero di taglia ridotta, l’anticipo dell’entrata in produzione, l’aumento della produttività e una migliore resistenza alle avversità. Dote che, messe a sistema, hanno permesso le coltivazioni a spalliera, una raccolta agevolata da carri di ultima generazione, una migliore gestione del terreno in particolare sul piano della sostenibilità con impianti di irrigazione a goccia o subirrigazione.

Anche se a convincere una decina di frutticoltori nella Val d’Aso ad investire oggi sulla pera coscia sono le sue tante virtù. È una pera soda, dalle forme tondeggianti e molto voluttuose (come il suo nome suggerisce). Una varietà precoce, estiva, di piccole dimensioni. È soda, ha una buccia sottile, una polpa bianca poco granulosa ed è richiesta dai consumatori perché succosa in bocca e dai buyer della Gdo per la sua lunga shelf life. Addirittura fino a Natale.

Sottolinea Mauro Acciarri «è richiestissima all’estero e ha conquistato gli Emirati». Di fatto ai 5 ettari di pera coscia produttivi sta aggiungendo altri 21 ettari e, come presidente di Confagricoltura Ascoli e Fermo, spinge la frutticoltura a specializzarsi in questa coltivazione. Lo scopo: fare della Val d’Aso con Caserta e Etna, una delle tre areali italiane vocate. Ossia trasformare i 50 ettari produttivi attuali in 150 e portare la produzione complessiva da 17.500 quintali a 52.500 (media di 350 quintali all’ettaro) tenendo a mente che il pero “coscia” ha gli stessi problemi di tutti gli altri peri.

Teme la psilla, un insetto che sottraendo la linfa rallenta lo sviluppo del pero e l’accrescimento dei frutti e indirettamente con la produzione di melata favorisce lo sviluppo di fumaggini, di scottature e di altre lesioni all’epidermide dei frutti che ne causano il deprezzamento. «Ma è risolvibile – sostiene Acciarri. – Quello che ci preoccupa è la cimice asiatica. Aspettiamo che il Servizio fitosanitario delle Marche effettui anche da noi una campagna di lancio della vespa samurai». Il rilascio dell’insetto antagonista per il controllo biologico del fitofago è stato fatto finora in 11 siti distribuiti in due areali frutticoli del pesarese e dell’anconetano.

Intanto, se si paragona alle pere di tutt’Italia, la pera coscia marchigiana gode di buona salute. Le perdite quest’anno sono del 30% legate alle gelate tardive di primavera. Niente in confronto al raccolto deficitario della pera italiana. UnaPera, la più grande associazione europea di pere, 5 mila aziende agricole su più di 8.500 ettari, pari in media al 70% della produzione dell’Emilia-Romagna stima tra il 70 e l’80 % il calo produttivo e remunerativo dei suoi associati. Intanto, sul tavolo dell’assessore regionale Antonini, c’è la richiesta per ottenere la “Pera coscia Igp della Val d’Aso”.

Tags: Acciarri, in evidenza, pera coscia, val d'aso

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