Non ha sortito l’effetto sperato (placare gli animi di un settore in rivolta) la deroga per l’anno in corso all’obbligo di lasciare parte dei terreni incolti. Secondo la proposta della Commissione questa potrà essere concessa a condizione che l’agricoltore destini il 7% dei seminativi a elementi caratteristici del paesaggio, inclusa la messa a riposo, o a colture azotofissatrici e intercalari (“catch crops”) senza però ricorrere all’uso di fitofarmaci. In aggiunta, per le intercalari è previsto un coefficiente di ponderazione dello 0,3 per cento. In pratica, ogni ettaro reale sarebbe equiparato a 0,3 ettari.
“Una proposta con un sovraccarico di condizioni tale da limitare in modo significativo l’efficacia della misura. Il testo va modificato per aumentare effettivamente le produzioni di cereali e semi oleosi”. Critico il commento del presidente della Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, sulla proposta licenziata dalla Commissione per derogare all’obbligo previsto dalla PAC di destinare una parte dei terreni a finalità non produttive. Deroga da tempo sollecitata dalla stessa Confagricoltura.
Condizioni di fatto poco attuabili che non sembrano rappresentare affatto una vittoria come, invece, qualcuno vorrebbe far credere fra sventolii di bandiere. La proposta della Commissione passa ora all’esame degli Stati membri. “Siamo già in contatto con il nostro ministero e con le principali organizzazioni agricole degli Stati membri per ottenere le indispensabili e profonde modifiche”, conclude il presidente della Confagricoltura.
Una problematica che, quindi, resta ancora presente rischiando di penalizzare fortemente le aziende agricole. A tal proposito Pietro Verrua, agronomo di Confagricoltura Ancona ricorda che “la voglia di salvare il mondo ricade ancora una volta sulle spalle degli agricoltori. Già dal 2022 era evidente che un ritorno all’obbligo del set-aside fosse anacronistico, ma pare che solo oggi il settore agricolo se ne sia accorto. Meglio tardi che mai. La proposta della commissione di sopperire per il 2024 al 4% di incolto con il 7% di azotofissatrici e intercalari riporta alle EFA della passata programmazione, con una piccola differenza: dare regole del genere mette ulteriormente in crisi le aziende agricole”.
Il rischio è proprio quello che alla fine in molti siano costretti a rinunciare a questa c.d. deroga proprio per una manifesta impossibilità di applicazione. “Le aziende – prosegue Verrua – se vorranno adottare tale strumento potranno scegliere fra un numero estremamente limitato di colture. Perché non inserire anche le foraggere (tra l’altro estremamente diffuse nelle Marche) in quel 7%?”.
Tale problematica, aggiunge l’agronomo “corre il rischio di essere ancor più sentita da tutti coloro i quali hanno già predisposto un piano colturale come le aziende che hanno già provveduto a lasciare l’incolto (magari seminandoci le mellifere) per ottemperare agli obblighi che già si conoscevano. O ancora, se la norma ha lo scopo di un contenimento dell’uso dei prodotti fitosanitari, perché applicarla anche alle aziende certificate Bio o SQNPI che già usano meno prodotti o comunque meno impattanti?’”.
Molti gli interrogativi che questa apparente soluzione pone mettendo a rischio la competitività delle aziende che lasciano trapelare una certa miopia ed incongruenza delle scelte comunitarie, del resto come ricorda lo stesso Verrua “nel 2023 si era ottenuta la deroga al set-aside per via della guerra Ucraina ed oggi ci è stata tolta, non sapevo che la guerra fosse finita”!
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