“Ecco perché noi agricoltori scendiamo in piazza”

Paolo Marini spiega le ragioni della protesta evidenziando le tante criticità
Attualità
di Alberto Maria Alessandrini

La concretezza della tradizione: è questa forse la prima impressione che giunge al visitatore una volta raggiunta la fattoria Marini. Ci troviamo a Montoro di Filottrano, sulla cima di un colle dal quale si domina la val Musone ed in cui, proprio come una volta, i campi coltivati si alternano a pascoli, stalle, boschetti ed uliveti. L’azienda, a conduzione biologica, si estende su una superficie di circa 70 ettari dove vengono coltivati cereali e legumi, prodotto fieno ma anche allevati bovini marchigiani ed ovini di razza fabrianese, senza dimenticare poi l’uliveto ed il punto vendita aziendale dove trovare il risultato di tutte queste produzioni. Un contesto sempre più raro dove Paolo Marini e la sua famiglia vivono e lavorano ormai da più di mezzo secolo.

Agricoltori per tradizione o per vocazione, come nasce la vostra realtà?
“Quello con la terra è un legame forte, sia mio nonno che mio padre hanno sempre svolto questo lavoro ed una volta terminata la mezzadria gli si è presentata l’opportunità di acquistare un primo terreno. Erano gli anni ’60 e così da Recanati, loro paese d’origine, si trasferirono qui a Montoro. In un primo momento si trattava soprattutto di cereali e bietole, poi negli anni ’80 costruirono la prima stalla. Quando nasci in un contesto del genere è difficile non appassionarsi a questo mondo pur con le tante difficoltà connesse. Oggi lavoriamo per accorciare il più possibile la filiera e garantire non solo dei prodotti di qualità, ma che siano anche in grado di trasmettere il legame con il territorio”.

In un mondo dove le aziende agricole sono sempre più specializzate e settoriali voi, invece, siete andati quasi contro corrente…
“Ovviamente l’organizzazione aziendale, certi metodi di coltivazione, le attrezzature sono molto diverse rispetto al passato, ma certamente credo che ci sia ancora spazio per chi voglia fare un’agricoltura davvero completa, come facevano i nostri nonni. La necessità di fieno per l’allevamento, ad esempio, garantisce anche una corretta rotazione colturale, così come il letame aggiunge sostanza organica ai terreni. Allo stesso tempo, la scelta di coltivare jervicella (grano antico tipico delle Marche), lenticchie o ceci ci permette di differenziarci da un mercato che è invece molto omologato. Porter offrire al consumatore non solo carne ma anche pasta, legumi, prodotti da forno, tutto coltivato realmente in biologico, è un valore aggiunto. Lavorare in questo modo, però, è anche molto più complesso e faticoso”.

Ha mai pensato che, forse, se avesse scelto una strada diversa sarebbe stato più facile?
“Quella dell’agricoltore è una vita dura ma animata da una grande passione, più che un lavoro diventa quasi una missione. Attualmente, ad esempio, alleviamo circa 40 vacche ed oltre centinaio di pecore e chiunque abbia a che fare con gli animali sa bene come non esistano giorni di festa, ferie o pause. Quando si è finito in stalla ci stanno poi le lavorazioni in campo, le manutenzioni dei mezzi. Per non parlare poi della burocrazia che è diventata il principale nemico dell’agricoltura”.

Le proteste di questi giorni stanno rendendo evidenti tali difficoltà…
“Dire che la situazione è ormai insostenibile è riduttivo. Io faccio biologico ed il tempo che occorre per stare dietro a tutte “le carte” è quasi diventato maggiore di quello da dedicare al lavoro in campo. Si parla tanto di incentivi alla zootecnia, ma poi se un capo di bestiame si perde un orecchino il proprietario è sanzionato quasi come se fosse un criminale, per non parlare del fatto che non ci sono quasi più trasportatori autorizzati alla movimentazione degli animali ed i mattatoi stanno scomparendo. Che senso ha fare le leggi sul benessere animale quado gli allevatori sono obbligati a tenere recluse dentro le stalle pecore e vacche per non farle finire sbranate dai lupi? Problemi simili li ha anche chi coltiva mais, legumi o girasoli e deve lottare per difendersi da cinghiali e piccioni. Quello dell’agricoltore è un mestiere duro e complesso dove tante cose possono andare storte (meteo, prezzi, malattie), ma se ci si mettono anche lo Stato e l’Europa ad ostacolarci diventa impossibile come battaglia. Non parliamo poi di tutte le follie su inquinamento, conversione all’elettrico, etc..”

Parole molto chiare che fotografano la situazione, come fare per trasmettere questo messaggio anche al di fuori del mondo agricolo però?
“Guardiamo le manifestazioni di Civitanova e Macerata, dove ho partecipato ad entrambe. La risposta dei cittadini è stata inaspettata. Non solo non ci sono state lamentele, ma molti automobilisti si sono fermati per applaudire e portare la loro solidarietà. Del resto certe battaglie non si fanno solo per il nostro interesse personale ed economico, ma anche per i consumatori, senza agricoltura non ci sta futuro. Se domani un agricoltore decide di cambiare mestiere la qualità di ciò che mangia non cambierebbe poi molto, qualche animale da allevare per casa ed un piccolo orto lo potrebbe continuare a fare, ma il danno per la collettività sarebbe enorme. In Italia lavora in campagna circa il 2% della popolazione e questo 2% garantisce da mangiare a quasi 60 milioni di persone. Personalmente vorrei continuare a fare questo lavoro come mio padre e mio nonno hanno fatto prima di me e non possono essere delle leggi scritte da chi non ha mai passato un giorno dentro un campo ad impedirlo”.

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Tags: in evidenza, Paolo Marini, Proteste agricoltori

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