Arrivare nelle Marche, innamorarsi di un piccolo borgo e decidere di recuperarlo per farne un progetto di vita. Questa la storia di Mario e Stefania che, una ventina di anni fa, scoprono per caso la bellezza del borgo medievale di Cisterna, a pochi chilometri da San Leo ed Ubino. La coppia dà vita ad una struttura ricettiva che accoglie ospiti ed allo stesso tempo rispetta l’unicità del sito. Ed è proprio mentre lavorano per recuperarlo e prepararlo alla sua nuova funzione che, sulle storiche mura del borgo, scoprono delle piante di cappero. “Un cappero rupestre che cresce dentro i muri – spiega Mario Gallerani. – Lo abbiamo fatto vedere ed abbiamo scoperto che si trattava di una varietà unica che, a differenza delle altre, è in grado di crescere lontano dai litorali”.
Profumo intenso, sapore vincente e qualità antitumorali
È la posizione ed il particolare luogo dove è in grado di crescere a dare al Cappero rupestre di Borgo Cisterna la sua unicità. Cresce sulle mura da moltissimi anni, “alcune piante sono centenarie”, ed attualmente è uno dei sei capperi registrati nell’elenco della Biodiversità insieme al cappero Selargino, di Pantelleria, di Salina, di Gallipoli e di Genova. La varietà di Borgo Cisterna è riconosciuta dal 2014 nel Repertorio Regionale delle Marche e annoverata tra le diverse specie all’interno dell’Arca del Gusto di Slow Food. L’azienda di Mario e Stefania (nella foto) è l’azienda Custode nominata dall’Assam.
Ovale, di colore verde intenso e dall’apice appuntito, “la differenza con gli altri capperi – continua Mario – la noti già da quando apri il vasetto. Te ne accorgi perché il profumo è più intenso e questo lo rende spesso uno degli ingredienti vincenti dei piatti che partecipano a gare di cucina”. Nel loro agriturismo, lo uniscono a parecchie ricette, dai sughi alla carne, ma anche insieme alle insalate. “Ci manca l’accompagnamento con i dolci, anche se abbiamo saputo di qualcuno che sta tentando di includerlo nella preparazione del gelato”.
Il piatto che lo rende protagonista nel Borgo è però la particolare scaloppina che, “qualche tempo fa proposero di rendere piatto tipico della Regione. Si tratta di una scaloppina affogata nel Verdicchio e cucinata con il cappero. Se usata la carne dell’Appennino – spiega – insieme al Verdicchio dei Castelli di Jesi e al cappero di Borgo Cisterna, la ricetta contiene al suo interno tre prodotti tipici della regione, tre biodiversità. Per questo ci hanno proposto di valorizzarla”.
Dalle qualità enogastronomiche a quelle benefiche per la salute. Uno dei cibi iscritti nelle liste dei prodotti antitumorali. Ha qualità antiossidanti e, da qualche tempo, è sotto l’attenzione dell’Università di Fermo che ne sta indagando i propri benefici in accompagnamento con gli antibiotici. “Pare infatti, che il cappero potenzi la loro azione permettendo di assumerne in minore quantità”.
Pianta autonoma esempio di collaborazione
Ma come si coltiva un cappero che cresce sulle mura di un borgo? “Quando lo abbiamo scoperto ho provato a ripiantarlo ed ho scoperto che sul terreno faceva fatica a mettere radici”, spiega Gallerani che, di professione è anche un chimico. “Questo accade sia perché i suoi semi sono attivi solo al 60%, sia a causa del loro rivestimento molto resistente”.
Ed ecco qui che emerge l’esempio di come la collaborazione tra le specie sia fondamentale in natura. “Per nascere si appoggia a dei vettori che sono uccelli e lucertole; animali che hanno uno stomaco con un’elevata acidità in grado di distruggere la parte dura del seme”. A questo, si aggiungono le strategie di autodifesa che il cappero mette in atto per salvare la sua lenta crescita. “Per crescere ci mette molto tempo e se arrivasse un animale a mangiare le foglie, la pianta morirebbe. Per questo tende a crescere nelle zone alte, rocciose, dove ci sono meno predatori”.
Si difende infine, anche grazie al suo sapore. “La pianta è commestibile, ma di sapore sgradevole. È l’uomo ad aver scoperto che le sostanze cattive vengono degradate se esposte in fermentazione”. Per questo i capperi, dopo la raccolta, vengono posti, almeno per un paio di mesi, sotto sale.
Riguardo la raccolta infine, è bene ricordare come il cappero, ovvero la parte edibile più nota, non è il frutto della pianta ma il bocciolo fiorale non ancora schiuso. Si raccoglie dai primi di maggio, quando iniziano a comparire i primi boccioli, fino a settembre. Mario e Stefania li raccolgono a mano così da selezionare i singoli capperi quando raggiungono la giusta grandezza. Anche il frutto della pianta, chiamato cucuncio, è tuttavia commestibile: “può essere usato come il cappero, mangiato o messo nei sughi”.
In totale, i capperi sulle mura di Borgo Cisterna producono più o meno 80 chili di prodotto, utilizzati nella cucina dell’agriturismo o venduti, fino ad esaurimento scorte, nel punto vendita locale.
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