Silvia Bonomi è un’allevatrice di Ussita dove, da circa vent’anni, alleva pecore di razza sopravvisana. Animali tipici dei monti Sibillini, dalle caratteristiche uniche ed apprezzate in tutta Europa. Una storia di una donna forte e legata alla sua terra, ma anche profondamente stanca e frustrata dalle tante difficoltà che colpiscono il settore zootecnico regionale che oggi si trova costretta, insieme a tanti altri allevatori locali, a scontrarsi con l’epidemia dilagante di bluetongue.
La sua voce è un eco delle difficoltà che molti allevatori marchigiani e del centro Italia che stanno affrontando a causa di una gestione, spesso, disorganizzata che non è riuscita ad anticipare un’epidemia ormai dilagante, della quale avevamo avuto già anticipazione in altre aree regioni appena 10 mesi fa.

Silvia, quale è la situazione bluetongue nel suo allevamento?
“Al momento, fortunatamente, non abbiamo avuto casi e perdite. Alleviamo circa 150 animali, ma le misure di prevenzione che stiamo applicando in autonomia, oltre che costosissime, sono estenuanti. Disinfestazioni costanti, repellenti costosi da applicare periodicamente sugli animali, totale stravolgimento delle abitudini dei nostri animali. Per evitare le punture degli insetti portatori della malattia (una piccola zanzara attiva prevalentemente di notte, un culicoides) non possiamo più far pascolare i nostri animali durante le ore più fresche. Siamo obbligati a portare le pecore all’aperto durante le fasce centrali della giornata, sotto il sole e con il caldo. È intuibile come gli animali si stanchino più facilmente, mangino meno e quindi noi siamo costretti ad integrare, una volta in stalla, fieno e mangime. Un aumento di costi e lavoro impressionante”.

Leggendo alcune sue dichiarazioni, ha elencato una serie di “mancanze” da parte della Regione. Qual è la più critica, a suo avviso?
“È difficile sceglierne una, perché sono tutte interconnesse e creano un quadro desolante. Ma se dovessi proprio indicarne una, direi la totale assenza di un piano di prevenzione organizzato, ed un adeguato rimborso per il danno diretto (misure fin qui adottate) ed indiretto (costi di gestione triplicati, compromissione della stagione pascoliva, etc..). Siamo abbandonati al nostro libero arbitrio e alle nostre sole possibilità economiche. Non c’è un supporto per l’acquisto di repellenti, non ci sono disinfestazioni pubbliche mirate, non ci è certezza nella disponibilità dei vaccini. Dobbiamo arrangiarci anche nell’acquisto degli stessi, spesso introvabili, dovendo comunque attendere i responsi, con tempi biblici, dei veterinari regionali che devono indicarci il sierotipo corretto che sta girando in quel momento”.
Questo significa che state affrontando le conseguenze di questa epidemia completamente da soli?
“Esattamente. Siamo noi, con le nostre sole forze e a nostre spese, a fronteggiare un’epidemia che sta causando danni enormi. Stiamo parlando della salute dei nostri animali, dei sacrifici di una vita intera, del legame con la nostra terra. E questa volta non è una calamità naturale, è una calamità dovuta alla totale disorganizzazione e al silenzio assordante delle istituzioni. C’è un senso di abbandono che è difficile da descrivere. Ho un collega allevatore della mia zona che, ogni mattina, mi aggiorna con il triste conteggio delle perdite. Si stanno spendendo migliaia di euro solo per gli smaltimenti delle carcasse, è desolante”.
La sua frustrazione è palpabile. Cosa chiede alle istituzioni?”
“Chiediamo di non essere lasciati soli. Chiediamo un piano di prevenzione serio, con rimborsi per le spese che abbiamo sostenuto fino ad ora e che continueremo ad affrontare. Chiediamo supporto per l’acquisto di repellenti e disinfestazioni pubbliche e mirate. Chiediamo attenzione per un disastro sanitario che non abbiamo causato e che stiamo provando a fronteggiare con le nostre sole forze. Le istituzioni, forse troppo prese dalle loro beghe politiche, non ci sono. A volte basterebbe osservare come la medesima questione sia stata affrontata nella vicina Umbria. Il mio non vuole essere il pianto isterico di una altrettanto isterica allevatrice, ma la feroce preoccupazione di chi teme di veder vanificare i propri sacrifici di una vita, per una dannata zanzara che non è stata gestita da chi di dovere”.
Quale è il pericolo che potrebbe profilarsi?
“Nel caso della nostra azienda la perdita di una genetica come quella creata in vent’anni di lavoro sarebbe una tragedia senza uguali. Questi animali sono il risultato di un recupero e di una conservazione che non ha eguali. Nel caso in cui dovesse accadere l’irreparabile e questi animali dovessero contagiarsi e poi morire, non ce ne sarebbero altri con cui sostituire la perdita. La situazione è estremamente drammatica, e abbiamo bisogno di risposte rapide anche a costo di portare le nostre pecore davanti al palazzo della Regione”.