La Dop Economy marchigiana ha un valore di 132 milioni

Sono 35 i prodotti certificati, un potenziale da sviluppare
Economia
di Veronique Angeletti

Vola il sistema economico e produttivo italiano del comparto agroalimentare a indicazione geografica (Dop, Igp e Stg), con le Marche che fanno la loro parte.
Tradotto in soldoni: genera un euro su cinque ed è talmente dinamico che, l’anno scorso, ha contribuito per il 21% al fatturato dell’agroalimentare nazionale. Insomma, vale 19,1 miliardi e vanta un export pari a 10,7 miliardi. Non male per un patrimonio che, per natura e cultura, non è delocalizzabile e che abbraccia in Italia 845 prodotti dove lavorano 198.842 operatori, 291 consorzi di tutela e, nel cibo, genera 8 miliardi di euro (+9,7%) mentre, nel vino, 11 miliardi (+21,2%).
L’analisi è firmata dal XX Rapporto Ismea-Qualivita, da dove emerge che le filiere marchigiane, forti di 35 prodotti certificati (14 nel cibo e 21 nel vino), contribuiscono al 6% della Dop Economy nazionale, generano sul territorio 132 milioni (26 per il cibo e 106 per il vino) e coinvolgono 2.916 operatori (934 cibo e 1.982 vino). Il vino ha una quota dell’80% e vale 106 milioni (Dop 77 e Igp 29); i prodotti a base di carne 11% (14 milioni); le carni fresche 7% (10 milioni) e i formaggi 1% (2 milioni). Ancona fa la parte del leone (57 milioni), poi Ascoli (24 milioni) e, testa a testa, Macerata (22) e Pesaro-Urbino (21).
Per impatto, le Marche sono la tredicesima regione. Ma c’è molto spazio per crescere, per fare dei prodotti certificati un motore primario come lo sono per il Veneto e l’Emilia-Romagna. Anche perché nel settore ortofrutticolo il certificato rappresenta solo 100 mila euro, l’olio extravergine di oliva 200 mila e, pur se il vino marchigiano va bene, non rientra nella top 20 per valore alla produzione dominata dal Prosecco Dop e chiusa dal Montepulciano d’Abruzzo Dop.
“Si tratta di un’economia distintiva” spiega il presidente dell’Ismea, il maceratese Angelo Frascarelli (nella foto), professore di economia e politica agraria e di politica agroalimentare presso l’Università di Perugia. Che aggiunge: “Consente alle produzioni di differenziarsi da una concorrenza mondiale che avviene prevalentemente su prodotti di massa, sulle commodity oggetto di forti oscillazioni di prezzo. Una produzione differenziata, come lo sono i prodotti Dop e Igp che vanno su mercati più ristretti, ha meno variazioni di prezzo, genera più margini e dà maggiori soddisfazioni all’agricoltore e ai produttori”.
Includendo le 4 Specialità tradizionali garantite, le Marche sono al 12° posto nella classifica italiana per prodotti certificati. “Non sono pochi – osserva – in rapporto agli ettari e alla popolazione, ma uno sforzo sarebbe vincente dal punto di vista economico. Si deve puntare su prodotti legati ad un areale, a delle tradizioni, ci sono delle opportunità in settori come la pasta, l’olio d’oliva, la carne d’agnello”.
Ricorda tuttavia che l’iniziativa deve partire dai produttori: “Devono avvertire la necessità di proteggersi con un disciplinare, di tutelare il loro prodotto contro i falsi”.
Un’economia anche trainante per altri settori. Questo modello economico e produttivo si basa su una serie di valori come origine, autenticità, sicurezza, tradizione, ambiente, fattori umani che coinvolgono molti ambiti come il turismo, la cultura, l’ambiente, il benessere e il sociale. Lo dimostra l’Osservatorio delle Camere di Commercio: oltre un viaggiatore su cinque sceglie le Marche per i suoi paesaggi naturali, il 16% per i prodotti tipici locali (4 punti in più rispetto alla media italiana) e un 4% cerca la ristorazione di eccellenza.

Tags: Dop, Frascarelli, Igp, in evidenza, Ismea

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