L’importanza di un piano olivicolo-oleario per l’Italia

Intervento dell'imprenditrice marchigiana presidente della CNA Agroalimentare
Attualità
di FRANCESCA PETRINI
Presidente CNA Agroalimentare

Quando si parla del settore olivicolo-oleario, negli ultimi anni, le buone notizie non abbondano, tanto più se ci riferiamo alle ultime due annate che per varie cause, maggiormente legate agli effetti del cambiamento climatico, hanno mostrato un crollo produttivo senza precedenti.

Anche a livello internazionale assistiamo ad uno scenario completamente modificato dove la Spagna ha più che dimezzato la propria produzione. Parliamo di due paesi, l’Italia e la Spagna, che rappresentano il 60% della produzione mondiale  e l’80% dell’export mondiale.

In qualità di produttrice e presidente nazionale di Cna Agroalimentare con Aifo (Associazione Italiani Frantoiani), nostra affiliata, esprimiamo molta preoccupazione per le sorti del settore che non solo non cresce in termini produttivi – per cui implementare il patrimonio arboreo risulta non più rinviabile – ma sembra stia perdendo il suo appeal sui mercati, soprattutto quelli internazionali.

Urge dunque un ripensamento dell’intero settore e delle politiche che lo governano per realizzare una strategia di filiera di medio-lungo periodo.

Il piano olivicolo-oleario rappresenta non soltanto un documento strategico con gli impegni programmatici, ma è uno strumento istituzionale fondamentale di concertazione che trova nel tavolo tecnico, riunito al Masaf, la sua sostanza.

Ancor prima di calare gli interventi che riteniamo doverosi e prioritari per la nostra categoria, dobbiamo partire dal presupposto che qualunque intervento vada inserito all’interno di un programma che deve essere coerente; occorre una strategia omnicomprensiva, “multipolare” ma unitaria a livello nazionale. Troppe volte abbiamo assistito a politiche di indirizzo e di sostegno poco efficaci perché non unitarie a livello nazionale e poco (se non per nulla) coordinate tra le istituzioni centrali e quelle territoriali.

Quindi non solo massimizzare le risorse in generale (comunitarie, nazionali e regionali), ma creare le condizioni per sviluppare il potenziale insito nella filiera olivicolo-olearia, vista nella sua articolazione complessiva di sistema produttivo-commerciale.

Occorre ristrutturare l’offerta che consenta nuovi impianti olivicoli e occorre una penetrazione commerciale maggiore che necessita di una continua azione di accompagnamento. E’ tuttavia necessaria una maggiore garanzia che ogni anello della filiera sia adeguatamente remunerato senza gli squilibri e gli intoppi che troppo spesso riscontriamo nella fase di commercializzazione del prodotto finito all’interno del percorso distributivo.

Con Aifo condividiamo la necessità di superare l’idea che l’olio extra vergine di oliva abbia un posizionamento da “commodity”. Diciamo basta all’idea di utilizzare l’olio extra vergine come prodotto civetta all’interno della distribuzione organizzata che svilisce, sminuisce il valore del prodotto che non è più solo condimento ma vero e proprio alimento grazie alle sue caratteristiche organolettico-nutrizionali elevate. C’è ancora una scarsa percezione del surplus qualitativo da parte del consumatore, pertanto è necessario favorire una maggiore educazione al gusto quindi maggiore cultura olearia. Su questo aspetto è anche e soprattutto necessario un forte  e deciso ripensamento delle “categorie merceologiche” e quindi di una “segmentazione del marcato”. Il tema delle Indicazioni Geografiche insegna. Le Dop e le IGP italiane con la distintività dei territori d’origine rappresentano un volano importante per la crescita competitiva e per il rilancio del turismo enogastronomico.

C’è dunque olio e olio

E’ ormai consolidata la letteratura scientifica che ha mostrato diversi livelli di qualità dell’extravergine in termini di qualità sensoriale, organolettica, chimica, biochimica. Non ci si riferisce infatti ai soli parametri fisico-chimici come acidità, polifenoli ecc. ma anche a tutti quegli elementi, di particolare pregio, classificabili come nutraceutici, di grande importanza biologica, salutistica, non abbastanza valorizzati nell’ambito della comunicazione, ancora privi di un reale e riconosciuto valore di mercato, appunto per l’assenza di una specifica categoria codificata.

Inoltre non è più rinviabile l’istituzione di un nuovo segmento di olio extra vergine : l’olio extra vergine “artigianale”. Questo nasce nel frantoio ed è commercializzato dal frantoiano che firma le bottiglie apportando accresciuto valore, conferito dalla percezione della filiera corta, dalla garanzia sugli aspetti qualitativi del prodotto riconducibili alla responsabilità e professionalità di un’unica figura aziendale : il Mastro Oleario.

Più di ogni altra figura lavorativa, il frantoiano si pone al centro della nostra attenzione data la sua centralità e responsabilità nel riuscire ad ottenere il miglior olio possibile, avendo una diversificata qualità della materia prima ed operando nell’ambito di un territorio ben preciso, nel rispetto di una tradizione che si evolve senza mai distogliere lo sguardo dalle nuove tendenze di mercato.

Non è solo una questione di macchine, di tecnologia ma di sapienza e di esperienza che devono comunque portare ad un prodotto con caratteristiche precise. Pertanto, al fine di supportare la competitività e la redditività degli oltre 4000 frantoi italiani, sono necessarie misure compensative urgenti, fiscali e finanziarie, finalizzate al recupero della marginalità in vista della prossima campagna olivicola. Inoltre vanno previste nel nuovo OCM risorse specifiche da dedicare ad investimenti nel settore della trasformazione e commercializzazione, con finanziamento diretto alle aziende, in analogia a quanto già attuato per l’OCM vino che vede quali beneficiari delle misure, non solo gli imprenditori agricoli ma anche le imprese di trasformazione.

Tags: Francesca Petrini, in evidenza, olio di oliva

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