Prosciutto Carpegna Dop, serve un centro di macellazione

Necessario alle Marche per entrare nel circuito della certificazione
Economia
di Veronique Angeletti

Con un +30% nel 2022 rispetto al 2021, il Carpegna Dop conferma il suo titolo di Principe dei prosciutti. La specialità lavorata da 11 maestri noricini e stagionata 16 mesi nel cuore del Parco del Sasso Simone e Simoncello, stuccata con farina, sugna, e un misto tuttora segreto di erbe è ricercatissima. Di fatto, la più piccola delle Dop del settore, da quando, dieci anni fa, è entrata nel gruppo del Salumificio dei Fratelli Beretta ha cambiato marcia e dalle 30 mila cosce annuali lavorate nel 2013, oggi ne produce 120 mila che, a breve, diventeranno   e, entro meno di un lustro, 300 mila.

È allo studio il raddoppio dello stabilimento di Carpegna e il focus dei piani marketing è la conquista del mercato statunitense. «Questa domanda non è altro che la risposta del consumatore alla bontà di un prodotto ottenuto con l’applicazione ancora più azione rigida del già severo disciplinare che regola la Dop» commenta Marco Pulici, il direttore dell’ente consortile. Spiega che la Dop impone suini nati, allevati, macellati nelle Marche, in Emilia-Romagna o in Lombardia, con un peso minimo di 160 kg, che devono raggiungere almeno 10 mesi prima della macellazione e la singola coscia fresca rifilata, deve superare i 12 kg. Un radioso mercato per il futuro degli allevatori di suini a cui i suinicoltori marchigiani, tuttavia, non riescono a partecipare come risulta dalla contabilità trasparente della Dop. Il problema è che non ci sono macelli autorizzati nella nostra regione. Il che regala, per motivi di trasporto, alla coscia marchigiana un’identità romagnola, emiliana o lombarda. Vale il luogo dove sono state macellate.

«Ed è uno dei gravi problemi della suinicoltura ma anche della zootecnia marchigiana in generale» interviene Daniele Caimmi direttore dell’Unione suinicoltori marchigiani. L’Unione è nata l’anno scorso e rappresenta piccoli e grandi allevamenti intensivi e pure quelli allo stato brado. Il suo scopo è promuovere il suino marchigiano e supportare il settore a trovare le migliori soluzioni. Come quello di avere a disposizione almeno un centro di macellazione di prossimità. «È nell’interesse degli allevatori e del benessere degli animali – sottolinea Caimmi – e deve essere dotato delle autorizzazioni per tutti i controlli sanitari, disciplinari e le certificazioni anche per l’export per consentire ai suinicoltori marchigiani di entrare nelle filiere Dop del San Daniele, del Parma e del Carpegna. La via sicura per valorizzare il prodotto».

L’ideale sarebbe un polo vicino all’autostrada al Sud del Conero dove ci sono più allevamenti anche se due centri sarebbero più opportuni. Spazio di crescita ci sarebbe. Dall’anagrafe veterinaria nazionale la media dei capi al km2 nelle Marche è di 11,1. Ossia, la metà di quelli cresciuti in Umbria (22), un quarto dei capi allevati in Emilia-Romagna (44) e il 6,5% del numero degli suini lombardi. Un mercato però in balia ad una doppia dinamica. L’Ismea ha rilevato che, nei primi quattro mesi del 2023, tre quarti dei capi sono stati destinati alle Dop e il prezzo delle cosce fresche per il circuito tutelato è aumentato del 15% (per i suini pesanti del 32 %) ma prende pure atto di un calo produttivo nazionale del 6,5% e di un incremento delle importazioni.

«Confermo – interviene il direttore dell’Unione – che i prezzi sono al loro massimo storico ma risponde all’impennata dei costi, in primis dei mangimi, dell’energia. Quanto al calo dei capi è dovuto alla chiusura di aziende che dovevano modernizzare gli impianti, adottare misure di biosicurezza contro la peste suina e la difficoltà di accesso al credito».

In ogni caso, le Marche meritano più presenza con l’affermazione del Suino della Marca. La linea genetica è stata creata nel 2006 dall’Unicam su richiesta della Regione Marche. Oggi di proprietà di Impronta Verde. L’unico maiale con il mantello rosso con una cinta bianca. Allevato allo stato brado a Poggio San Marcello, Cagli e Montefiore dell’Aso. Ha una carne pregiata che è quotata ad un prezzo superiore alla media nazionale e farà parte di uno studio di alimentazione con il mangime coltivato con l’agricoltura bio-rigenerativa, il metodo marchigiano Arca. Un suino rustico in cui tanti vedono il futuro della suinicoltura marchigiana. «Deriva – spiega Emiliano Baldi della Baldi srl partner della società proprietaria del marchio – da uno schema di incrocio a tre vie che utilizza la Cinta senese, una razza autoctona per la rusticità, la Large White Italiana per la sua attitudine materna e la Duroc italiana per la sua adeguata carnosità».

Rallentato dalle ristrutturazioni, la consistenza dell’allevamento è iniziata adesso a crescere. Si tratta di circa 160 scrofe riproduttive certificate per un parco suini di 1.400 capi che già garantisce un ritiro di 15/20 suini a settimana.

Fonte: Sistema Informativo Veterinario Nazionale (30.06. 2023)
Nelle Marche ci sono:
– 103.340 maiali (1,24% dei capi allevati in Italia)
– 4736 allevamenti (4,47% degli allevamenti italiani)
di cui 4.055 sono familiari che custodiscono 1.404 capi, 123 allo stato brado, 46 a ciclo chiuso

Prezzo capo: 179,20 (+12,4% su 2022)

Fonte Impronta Verde
Il Suino della Marca
3 allevamenti nelle Marche e 1 a Terni
(Poggio San Marcello, Cagli, Montefiore dell’Aso)
1.400 capi

Sfoglia gratuitamente Marche Agricole cliccando qui

Tags: Carpegna Dop, in evidenza, Suinicoltura

Suggeriti

Cambio al vertice del Consorzio di Tutela Vini Piceni
Ruotine mantecate con bietoline e spinaci, robiola, filange di speck

Da leggere