Carne coltivata, un “bluff” per nascondere i veri problemi?

Per la zootecnica i temi in agenda sono ben altri e più importanti
Economia
di Alberto Maria Alessandrini

Quelle degli agricoltori, si sa, sono problematiche che interessano il grande pubblico sempre in maniera marginale. Questioni tecniche, ritenute per addetti ai lavori ed alle quali le stesse istituzioni rivolgono sempre un’attenzione relativa. Dovrebbe quindi farci gioire l’incredibile trasporto, interesse e risolutezza che ha portato ieri, nel giro solo di qualche mese, ad approvare quella che è stata venduta come la “madre di tutte le battaglie” a tutela di contadini e consumatori: la messa al bando della carne coltivata. Una vittoria per il settore primario, secondo alcuni, tale da giustificare tutte le conseguenti manifestazioni di gaudio e giubilo con campane suonate a festa, fischietti, bandiere sventolanti e… risse sfiorate.

Ma al netto delle considerazioni, poco politico e molto sindacali, che hanno portato a questa scelta l’aspetto certamente più significativo è che da oggi, assecondando questa visione delle cose, il settore zootecnico nazionale non avrà nulla di cui lamentarsi. Con buona pace di chi riteneva che, forse, le questioni prioritarie sarebbero state altre.

Quindi non importa dei prezzi imbarazzatemene bassi dei prodotti dei nostri allevatori o delle bizantine difficoltà burocratiche alle quali sono costretti dalle istituzioni di ogni livello. Perché al fianco dell’aspetto della tutela dei consumatori, giusta ma certamente non in pericolo, secondo la narrazione dominante i veri vincitori dovrebbero essere proprio gli agricoltori italiani. Vietando la commercializzazione della carne coltivata (e non sintetica come una diffusa ignoranza spesso sostiene) si dovrebbe mettere definitivamente al sicuro un settore economico altrimenti minacciato e che da oggi tornerà a correre, per lo meno nella mente dei padrini di questa iniziativa. Poi, per dovere di verità, poco importa se la carne a base cellulare era già vietata dalla normativa sovranazionale dato che l’Europa non ha ancora validato la vendita di tali prodotti all’interno dei suoi confini.

Comunque, al di là di tutto, il dato oggettivo è che per portare a casa questa battaglia si è ritenuto di impegnare 600 fra parlamentari e senatori, scomodare due Camere, quattro o più commissioni parlamentari, uffici legislativi ed un numero imprecisato di consulenti e tecnici dimenticandoci, però, che la stragrande maggioranza dei problemi del mondo zootecnico ed agricolo sono spesso dovuti ad altro. Direttive interne scellerate, pessimo funzionamento degli uffici pubblici o regolamenti amministrativi capestri sono ambiti dove sarebbe molto più immediato intervenire, ma il risalto mediatico ottenuto, bilanciato con l’impegno richiesto, avrebbe fatto pendere la bilancia dal lato sbagliato.

Al netto dell’ironia, la questioni principali, che in qualche modo dovrebbero farci sorridere di fronte a tutto quello che abbiamo visto, sono essenzialmente due. In primis i veri ostacoli che gli allevatori hanno sono ben altri e più complessi: carenze infrastrutturali croniche come la mancanza dei mattatoi, i tempi della burocrazia eterni per la costruzione di qualsiasi stalla o fienile, le costanti predazioni dai lupi o i danni che i cinghiali fanno a pascoli e recinzioni, i costi esorbitanti dei farmaci veterinari e le incomprensibili norme di gestione degli stessi, Comitati ed animalisti pronti a sporgere denuncia per qualsiasi cosa, etc. etc.

In secondo luogo, il fatto più grave è che la scelta che si è voluta intraprendere non potrà che avere ripercussioni sul futuro. Ripercussioni soprattutto sul piano della ricerca scientifica, dello studio e dello sviluppo tecnologico correndo il rischio di fare rimanere indietro il sistema paese, così come già fatto in passato vietando gli OGM. Perché, mentre è ovvio che una tagliata di scottona marchigiana non sarà mai in concorrenza con una polpetta prodotta da un bio-reattore, sappiamo anche perfettamente che per sfamare la popolazione del 2050 non basteranno tutti i vitelloni bianchi dell’appennino centrale, nemmeno se li portassimo a colonizzare l’intera catena himalayana.

Con gli OGM, del resto, è successa la stessa cosa: proibendoli abbiamo distrutto il lavoro di decine di docenti universitari e ricercatori italiani e tolto la possibilità a milioni di agricoltori di coltivare varietà vegetali resistenti e sicure. Però il resto del mondo è andato avanti ugualmente ed oggi chiunque, anche in Italia, consuma carne si nutre di animali alimentati con Soia OGM proveniente dall’altra parte dell’oceano. Carne non sintetica, naturalissima e sanissima, visto mai che anche questa volta ciò che abbiamo fatto uscire dalla porta saremo costretti a farlo rientrare dalla finestra?! Solo che questa volta gli agricoltori non potranno prendersela con la politica perché i veri artefici di tutto ciò, saranno stati gli stessi contadini, o chi pensa di rappresentarli.

Tags: Carne coltivata, in evidenza

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