Rosa, rosae, rosae…

Nel mese del rosario, il fiore più amato e le sue curiose declinazioni
Intorno al Focolare
di Carlo Nardi

Se per gioco chiedessimo a qualcuno di fare il nome di un fiore, così all’improvviso senza pensarci su, di certo la risposta sarebbe una: “la rosa!“ È questo infatti il fiore per eccellenza e se ne faccia una ragione chi non è d’accordo perché la profumatissima composizione di carnosi petali resta la stella più luminosa dell’universo floreale. Lo conferma anche il Bartezzaghi dallo schema di parole crociate più complicato de ‘la Settimana Enigmistica’: “la regina del giardino”, quattro lettere…

La sua popolarità, il grande fascino che emana, la passione che ne scaturisce, hanno consentito alla rosa di travalicare i confini della botanica e divenire simbolo tra i più diffusi anche in altri ambiti. Così per la sua forma quasi perfettamente rotonda viene usata ad indicare la direzione dei venti.

Per la magia che la avvolge, Umberto Eco l’ha usata come titolo del suo libro più famoso ed appunto recondito.

In Inghilterra nella metà del quattrocento gli York ed i Lancaster ci si sono letteralmente piccati per trent’anni con una guerra chiamata appunto “delle Rose” (ricordate lo sceneggiato televisivo anni ’70 “La Freccia Nera”?), per via del fatto che entrambe le famiglie ne avevano una sullo stemma.

Per la sua stagionalità, che la vede risplendere in tutto il suo fulgore a maggio, è anche il fiore della preghiera più cara a Maria, ‘il Rosario’, che proprio in quel mese si recita con particolare devozione attorno alle edicole di campagna. Dalla religione al mistero spesso il passo è troppo breve e così la ritroviamo inserita in mezzo ad una croce, come simbolo dell’antico e mistico Ordine dei Rosa Croce.

Infine, Schopenhauer, filosofo della prima metà dell’800, diceva che “non c’è rosa senza spine, ma ci sono spine senza rose” e la meno famosa delle sorelle Bronte (quelle per intenderci dei romanzi ‘Cime Tempestose’ e ‘Jane Eyre’) ha rimarcato il concetto affermando che “chi non osa afferrare le spine, non dovrebbe mai desiderare una rosa”.

Allora noi armati di guanti e cesoie ci accingiamo ad un breve viaggio nel caleidoscopio di colori e nel turbine di profumi di questa meravigliosa creatura che ti ammalia e sorprende anche nelle condizioni più sfavorevoli. Infatti la prima constatazione riguarda il fatto che le rose, pur essendo delicatissime al tatto ed alla vista, sono dei fiori resistentissimi ed il piccolo tronco che le sostiene è un fusto di nome e di fatto! Il nostro infatti, sarà per le spine, sarà per l’antico lignaggio, è un ‘tipo’ assai robusto e abituato al rigore della natura.

Questa particolarità lo ha portato ad essere usato come ‘pianta sentinella’ nei vitigni poiché immune ai parassiti della vite i quali, diciamo così, prima di andare in osteria, fanno un salto in profumeria!

Si insomma bivaccano sulla rosa per qualche giorno consentendo per tempo al vignaiuolo le dovute contromosse.

Esistono infinite varietà di rose: oltre 250 specie, diffuse in Nord America, Europa, Africa e Asia.

Le specie spontanee in Italia sono oltre 30. Tra le più comuni la rosa canina, la gallica e la glauca (frequente sulle Alpi). Nelle Marche, e precisamente in località Maciolla, a quindici minuti da Urbino, esiste il “Giardino delle Rose Perdute”, un angolo di paradiso curato da Rosetta (sic!) Borchia, tra le altre cose appassionata di botanica, che ha lo scopo di preservare quelle più autoctone.

A riportarlo è un corposo documento dell’ASSAM intitolato “La Biodiversità autoctona delle Marche” che elenca tre tipi di specie di rosa riscoperte quasi per caso girovagando tra sperduti cimiteri di campagna all’interno del pesarese. Arrampicate tra scarpate e vecchie lapidi troviamo la “Bella Porpora Violetta”, saltata fuori da una discarica di un cimitero abbandonato nel comune di Mercatello; la “Belle Sultane”, ritrovata ai piedi del Monte Catria all’ingresso di un cimitero. Il suo nome esotico, come riporta la pubblicazione, risale all’imperatrice Maria Antonietta che, appassionata di rose, la volle dedicare ad una sua cugina figlia dell’imperatore della Martinica. Infine abbiamo la “Rosa Agatha”, dedicata all’omonima santa e riscoperta proprio in un cimitero del comune di Sant’Agata Feltria.

Infine la rosa è stata, per generazioni di imberbi ginnasiali, la prima parola proferita in latino. La prima declinazione in una lingua all’apparenza così semplice da imparare e che mai avresti pensato ti avrebbe poi punto con le spine sintattiche della piccosissima perifrastica passiva.

Ricordate? ”Rosa, rosae, rosae…”

Tags: Carlo Nardi, in evidenza, Rose

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