Semine, per il grano duro cresce la preoccupazione

All'origine dei timori delle aziende i costi dei mezzi tecnici ed i prezzi
Economia

È dedicato alle Marche il viaggio attraverso le semine di frumento nel nostro paese proposto nell’ultimo numero del giornale “Grano italiano”. E per farlo sono stati intervistati tre imprenditori agricoli aderenti a Confagricoltura. Ecco chi sono e cosa hanno detto.

Andrea Pettinari, Società Agricola Costa di Macerata che conta 600 ha, ha destinato a grano duro la metà delle superfici. Quest’anno non ha modificato l’ordinamento colturale. “Storicamente – spiega – abbiamo sempre coltivato in questo modo, il nostro è un areale vocato”. Le sensazioni su questa campagna non sono incoraggianti: “siamo preoccupati – aggiunge – perché i costi dei mezzi tecnici sono ancora a livelli elevati, soprattutto per quanto riguarda l’energia. Dal punto di vista dei prezzi, poi, le preoccupazioni sono confermate per il forte ribasso, con il grano estero che determina l’andamento dei valori dei prodotti italiani”.

Alessandro Bettini,  Società Agricola Fenice di Senigallia, ha in conduzione 340 ha di cui circa la metà destinati a frumento duro. Anche quest’anno ha confermato le superfici, cosa necessaria con i vincoli delle condizionalità. In merito alla prossima campagna evidenzia che “siamo soddisfatti dell’impianto, l’acqua scarseggia e ce ne sarebbe bisogno per poter effettuare la prima concimazione azotata”. Dal punto di vista economico, invece, “per capire come andrà la prossima campagna bisognerebbe avere la palla di vetro. Di certo i prezzi attuali sono bassi, considerando i costi dei mezzi tecnici che, pur lontani dai picchi visti in passato, sono rimasti elevati”. E prosegue: “Oltre al rapporto sbilanciato tra prezzi e costi, vi è il problema del calo dei contributi della PAC di cui ci si accorgerà a breve. Questo, soprattutto considerando che la campagna 2023 si è chiusa in negativo, tra prezzi bassi e rese ridotte c’è stata la catastrofe perfetta”.

Ronaldo Di Lorenzo gestisce a Monteprandone l’omonima azienda agricola di 600 ha, di cui 250 destinati a frumento (1/3 tenero e 2/3 duro): quest’anno ha optato per una riduzione di circa il 20% per entrambe le coltivazioni. Così spiega il perché: «Le motivazioni sono legate al prezzo di vendita che non è cresciuto in proporzione agli aumenti dei costi di produzione. Inoltre, c’è grande incertezza sull’andamento climatico, soprattutto dopo due anni difficili: la siccità del 2022 e le forti piogge del 2023 hanno ridotto resa e qualità”. Dove si poteva, il frumento è stato sostituito da orticole, altrimenti dal colza. In merito alla campagna di quest’anno, aggiunge: «è imprevedibile, tra guerre e problematiche nei trasporti, è probabile che i costi dei mezzi tecnici aumenteranno, mentre non sappiamo mai quale sarà il prezzo di vendita. Dovrebbero essere stipulati dei contratti di filiera in cui gli agricoltori garantiscano quantitativi e qualità all’industria di trasformazione, in cambio di un giusto prezzo minimo che possa dare reddito ma anche riportare un po’ di ottimismo. Altrimenti, si fa fatica ad affrontare una stagione”.

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