Il lardo, un prodotto tipico della cucina marchigiana

Le tante modalità di utilizzo delle "vergare" di un tempo
Attualità
di Veronique Angeletti

Non si possono tessere le lodi al lardo, ma nemmeno scrivere sempre il suo canto funebre. Se è vero che l’imperialismo dei dietologi lo ha fatto sparire delle dispense, non si merita del tutto la condanna. Oggi, come fettina sottile, è anche un nobile salume che dà quello scatto diverso alle pietanze perché ricorda al palato i sapori di una volta e ha quella versatilità che civetta con piatti contemporanei. Ne è convinto Silvano Scalzini (nella foto) che gli ha dedicato un libro “Il mondo e le ricette del Signor lardo” (Ed.Simple, Macerata). Una volta le faceva assaggiare nella sua locanda il “Picciolo di rame”, a Caldarola, installata in un’antica torre del Castello di Vestignano dal XV secolo sede di un mulino. Il suo grande merito? Aver trasformato con la sua scrittura genuina guizzi di ricordi in un affresco sulla vita quotidiana dei contadini maceratesi ai tempi della mezzadria.

IL BATTUTO – «È giusto parlare del lardo – commenta Luca Facchini, professore all’Istituto Alberghiero “Panzini” di Senigallia – è il grasso che fa parte della bella storia della cucina marchigiana. Si tratta dello strato adiposo sottocutaneo del maiale, più consistente nella parte attaccata alla cotenna e più morbido in quella vicina alla carne. Quest’ultima viene fusa o macinata per ottenere lo strutto. Il lardo viene salato e talvolta affumicato. Era l’insostituibile protagonista del sugo finto che parte proprio dal battuto».

Sul battuto, il cuoco scrittore Scalzini ne avverte il rituale. Nel movimento con cui la vergara “spiccava” dal gancio della trave il pezzo “appeso”, nel suono energico, ripetitivo, penetrante della lama del coltello su “lu vattilardo”, nel sapore degli aromi che marchiava la casa, che dava un’identità alla famiglia perché «ognuno aveva la sua variante», in un periodo dove misurava gli ingredienti con “na pizzicata, na ccucchià, nu punu, na goccia, nu vicchiè, na rlega, nu filu, nu ditu», un pizzico, una cucchiaiata, un pugno, una goccia, un bicchiere, un cucchiaino, un filo, un centimetro.

LA SAPORITA E LA SUK  – «Si usavano molto le spezie in bustine – ricorda Scalzini -. Per le vergare, era lo spezio. C’era “La Saporita”, una miscela di coriandolo, cannella, semi di carvi, chiodi di garofano, noci moscate, anici stellati e la “Suk”, a base di concentrato di pomodoro e brodo di carne». Dà la ricetta del vero sugo finto. «Si chiama così perché “ne sa de carne, ma la carne non c’è”». Fare sfrigolare 100 gr di lardo battuto. Una volta trasparente, mischiare un cucchiaio colmo di concentrato di pomodoro prima diluito con un po’ di acqua calda e, quando riprende il bollore, versare tutta l’acqua e far “sobbollire” il sugo per un quarto d’ora. Aggiustare di sale e le spezie preferite». Quando dal dorso del cucchiaio la salsa scivola come una leggera crema vellutata, il sugo è pronto. Vale però per la pasta secca. Per le tagliatelle con l’uovo, raccomanda di mischiare lardo e pancetta, pecorino e parmigiano.

Ma il suo cibo preferito sono i Frascarelli con il lardo, una specie di polenta sfiziosa nella sua preparazione. Si sparge la farina sul tavolo, si prende una bacinella d’acqua, ci si immergono le dita e si schizza in modo che le goccioline a contatto con la farina la facciano raggrumare formando delle palline. «Alcune vergare – precisa – erano solite metterci anche un rosso d’uovo sbattuto con l’acqua. Alcune facevano delle biglie; altre stendevano l’impasto formando degli spaghettini che tagliuzzavano per dopo fare le palline. Poi, si setacciano per eliminare la farina in eccesso. Le si getta tutte di colpo nell’acqua salata bollente. Da condire con il solito battuto arricchito con pecorino. Una variante, più appetitosa e tipica del maceratese, era l’aggiunta di riso.

Tocchi di lardo fondente, li mette nella pasta pelosa, nell’oe (l’uovo), nelle frittate, nei vincisgrassi; fanno la differenza nella sua pasta dei pastori (guanciale e pecorino), nella polenta di roveja (il pisello selvatico dei Monti Sibillini), dà forza al pollo ruspante al pomodoro, veste le verdure, le foje, la cicerchia.

CON GUSTO E MODERAZIONE – Comunque va usato sempre con moderazione e mangiato in modo sporadico. Per lo chef nutrizionista Giacomo Liberti, docente all’Alberghiero di Cingoli, il lardo di pregi a livello nutrizionale ne ha davvero pochi. «È costituito esclusivamente, o quasi, da lipidi (grassi) formati da circa un 30-40% di acidi grassi saturi e il resto insaturi, con una percentuale di a.g. polinsaturi del 10%. Il colesterolo è 95mg/100g».

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